Povero Derek Mahon: uno slogan ha divorato l’opera, uno sketch, un verso fuori contesto, non certo originale, ha banalizzato una bibliografia, ha contagiato l’oceano lirico.
*
La morte di un poeta è il termometro che valuta lo stato comatoso del nostro giornalismo, la pandemica viltà della nostra editoria. Titolo del “Guardian”: “Muore a 78 anni Derek Mahon, gigante della poesia irlandese”. L’articolo ribadisce: “Nato a Belfast, Derek Mahon è diventato una figura immensa della poesia d’Irlanda”. Il profilo di Poetry Foundation, d’altronde, è esplicito: “Derek Mahon è considerato uno dei poeti irlandesi più talentuosi e innovativi del XX secolo”. Titolo dei giornali italiani: “Addio a Derek Mahon, il poeta dell’iconica ‘Andrà tutto bene’” (Rai News); “Morto Derek Mahon, il poeta dell’Andrà tutto bene” (La Stampa); “Addio a Derek Mahon il poeta dell’Andrà tutto bene” (TgCom24).
*
Povero Derek Mahon: classe 1941, una ventina e passa di raccolte poetiche, dal 1965 (Twelve Poems) ai New Selected Poems editi da Faber nel 2016 (e la curatela ai libri di Jonathan Swift e di Dylan Thomas, e le traduzioni di Nerval e Sofocle e Pasolini…), riassunti in un claim, una frase disadatta perfino per i cartigli dei Baci Perugina. Il fatto è che Derek Mahon è stato tanto importante da essere pressoché ignorato dalla nostra editoria: una antologia di “poesie scelte”, L’ultimo re del fuoco, è edita da Trauben vent’anni fa, nel 2003 Pendragon stampa Lettere dall’Hudson (entrambi i libri, ora introvabili, sono curati da Roberto Bertoni). Enrico Reggiani pubblica, nel 1995, con l’editrice universitaria Vita e Pensiero una “Introduzione alla poetica di Derek Mahon”, In attesa della vita. Peccato, appunto, che alla poetica non abbia fatto seguito la pubblicazione della poesia di Mahon.
*
La nota Ansa tenta, invero, di alzare lo sguardo oltre l’osceno. Titolo adatto (“Addio a Derek Mahon, gigante irlandese della poesia”), pur sbilanciato dal sottotitolo (“…Il suo Andrà Tutto Bene verso della pandemia”). Affondo critico esatto – “Un vero caposcuola, paragonato a letterati conterranei della statura di WH Auden, Louis MacNeice o Samuel Beckett, la cui eredità va ben oltre il pur celebre poema Everything Is Going to be All Right (Andrà Tutto Bene)” – che finisce per essere grottesco. Fino a Beckett ci siamo, a Auden ci arriviamo, ma… chi edita in Italia Louis MacNeice? Appunto. Nessuno. L’ultima raccolta di Poesie di MacNeice risale al 1974, stampava Mondadori, secoli culturali fa.
*
Povero Derek Mahon: nel marzo del 2020 su RTÉ News, broadcaster irlandese, ha letto quella poesia, Everything Is Going to be All Right, pubblicata, in origine, nel 1978. Gli si è ritorta contro, specie di condanna. La poesia, per esteso, fa così:
Come potrei non essere felice di contemplare
le nuvole luminose oltre l’abbaino
alta marea riflessa sul soffitto?
Ci sarà la morte, ci sarà la morte
ma non è necessario ricordarlo ora.
Le poesie scorrono spontanee dalla mano
e la fonte remota è un cuore vigile.
Il sole sorge nonostante tutto
e le città lontane sono belle e sgargianti.
Giaccio in un tripudio di luce
guardo l’alba e le nuvole che vanno.
Andrà tutto bene.
Il verso più brutto della poesia, adornato da arcobaleno e vago ottimismo, è diventato l’icona della bassa epica Covid.
*
Che paradosso: il poeta dell’Andrà tutto bene ha avuto una vita scalfita di tragedie. “La sua vita è costellata da crisi ripetute: un tentativo di suicidio quando era studente al Trinity College, un matrimonio fallito, alcolismo, difficoltà economiche. Nelle forme poetiche, nella rima, questa specie, diceva lui, di ‘tamburo prelinguistico’, trovava consolazione e il suo lavoro può essere letto come il tentativo di imporre la forma sull’informe della propria stessa vita”, ha detto Stephen Enniss, autore di uno studio biografico, After the Titanic: A Life of Derek Mahon.
*
Derek Mahon è un grande poeta – i poeti non muoiono mai – sfacciatamente ridotto a un messaggio ‘sociale’. Al contrario, la grande poesia non fa che dissodare l’ambiguo, coltivare candele nella tenebra. Per risarcire Mahon dovremmo pubblicarlo come si deve. Intanto, comincio io. Questa, Lives, è una poesia for Seamus Heaney.
La prima volta
Fui un bracciale d’oro
E piansi lacrime di sole.
È stato divertente
Ma mi hanno seppellito
In terra per duemila anni
Finché un manovale
Non mi ha estratto con un piccone
Nel milleottocentocinquantaquattro
Fui un remo
Bloccato sulla riva
Per segnare una tomba
Quando la nave perduta
È salpata. Pensai
A Itaca, ma ho desistito.
Il tempo prediletto
Accadde quando
Fui un grumo di argilla
Su una coperta Navaho,
Messo lì a mitigare
La perfezione
semi-divina di quel
semplice artefatto.
Servii bene il mio creatore –
Ha vissuto a lungo
Per essere abbattuto
A Denver da una scossa elettrica
Di notte le luci
Scemano in Europa
E non brillano più.
Così tante vite
Tante cose da ricordare!
Fui una pietra in Tibet,
Una lingua di corteccia
Nel cuore dell’Africa
Che diventa sempre più oscura, oscura…
Sembra tutto
Piuttosto irreale, ora,
Ora che sono
Un antropologo
Con la mia
Carta di credito, dittafono,
Stivali dell’esercito in eccesso
Un carico di barche
In attrezzi fotografici.
So troppo
Per essere altro ancora;
E se nel lontano
Futuro qualcuno
Crede di essere stato me
Come sono oggi
Lascia che riveda
La sua insolente ontologia
O impari a pregare.
Derek Mahon