23 Novembre 2019

Il libro più bello di David LaChapelle. Con Courtney che tiene tra le braccia un Kurt Cobain povero cristo e Pamela in forma di madonna apocrifa

“So, so you think you can tell/ Heaven from hell/ Blue skies from pain/ Can you tell a green field/ From a cold steel rail?/ A smile from a veil?”. Sì bellezza, sono i Pink Floyd e questa è Wish you were here.

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Plagio o licenza? Omaggio o irridente scherno? Impossibile entrare nella testa degli artisti, nella loro stanza dei bottoni. Però se qualcuno quei bottoni decide di toglierli dalle asole e di liberare l’anima pop e colorata dei corpi, perché non scrivere qualcosa attorno?

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La differenza tra un pittore e un fotografo è essenzialmente nella sua capacità di vivere bene e di avere qualche gratificazione economica. AI primi il fascino delle esistenze disperate, ai secondi la possibilità di spendere in vita quello che la creatività monetizza.

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“Ho reso la vita infernale. A volte ho fatto il paradiso. Ricorda sempre come artista che puoi creare qualunque cosa tu voglia in qualsiasi momento. Ascolta e segui il tuo intuito. Sei venuto nel mio studio e nella mia vita e mi hai dato i tuoi talenti. Sono cresciuto creando con te e ti amo. Continuerò a imparare ad essere migliore. E fai più paradiso che inferno”. David L.

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Heaven to Hell è forse “il libro” di David LaChapelle, sommo fotografo nato nudo come tutti nel 1963 ma che ben presto si è trovato a indossare una camicia fortunata: fu difatti Andy Warhol a offrirgli il suo primo incarico professionale fotografico per la rivista “Interview Magazine”. Non la classica “botta di culo”, ovvio, anche se entrare con un biglietto di visita così pop le porte ti si schiudono senza dover far pressione. Perché l’ottimo David, oltre a fotografare, sa utilizzare bene anche la macchina da cinepresa. Negli anni ha firmato i videoclip di molti musicisti piuttosto celebri come Elton John, Mariah Carey, Christian Aguilera, Jennifer Lopez, Blink 182, Amy Winehouse e tanti altri ancora.

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Heaven to Hell è il terzo volume di una trilogia esilarante iniziata con LaChapelle Land (1996) e proseguita con il famigerato Hotel LaChapelle (1999). Ricco di immagini sorprendenti, saturate di colore e provocatorie, questi titoli sono diventati oggetti da collezione istantanea e da allora sono stati ristampati più e più volte. La forza del suo lavoro risiede nella sua capacità di focalizzare l’obiettivo della celebrità e della moda verso questioni più urgenti di interesse sociale. Così le immagini mettono in discussione il nostro rapporto con genere, glamour e status. Usando il suo marchio barocco in eccesso, l’artista inverte il consumo che sembra celebrare, indicando invece conseguenze apocalittiche per l’umanità stessa. Mentre fa riferimento e riconosce diverse fonti come il Rinascimento, la storia dell’arte, il cinema, La Bibbia, la pornografia e la nuova cultura pop globalizzata, tempo rimodella un linguaggio visivo profondamente personale e che definisce l’epoca che regge lo specchio dei nostri tempi.

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David LaChapelle

In Siren and the Synthetic Sea del 2011 troviamo una Katy Perry dai capelli viola in posa in una coda di sirena con paillettes, appollaiata su una marea di immondizia di plastica nell’umida notte blu. Altrove, Pamela Anderson, che è una musa di lunga data di LaChapelle (e che lo ha presentato al suo amico Julian Assange), si distende nuda sul tavolo di un agopuntore, perforato con lunghi aghi sospesi al soffitto. Due lucenti manichini la sorvegliano, uno guardando uno specchietto.

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C’è una corrente sotterranea di fede e sentimento nelle foto di LaChapelle, ma dove ci conduce, se non in circoli? Lui risponde a questa domanda spingendo verso l’utopico, abbandonando i suoi concetti più sordidi per qualcosa di sacro. È vero, le palette sono ancora sature, gli scenari sono ancora assurdi e le persone sono ancora stranamente belle, ma, come suggerisce il titolo del portfolio Good News (“La buona novella”?), questa volta c’è speranza. LaChapelle ha ambientato la maggior parte delle foto nei lussureggianti tropici, una fantasia semplice che ben si adatta al suo simbolismo religioso. Improvvisamente, siamo inondati di aloni, cigni, agnelli e vernice per il corpo. Una donna lava i piedi di un’altra in una bacinella dorata. I bambini sono fasciati.

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La bombastica Pamela Anderson è ben piantata tra l’inferno e il paradiso. Una madonna apocrifa e plastica, saturata di colore e di silicone, che gioca con le vernici e ha dato l’anima all’immortalità che solo le fotografie possono promettere. Courtney Love è l’altra madonna, ma addolorata. Tiene tra le sue braccia Kurt Cobain, un (povero) cristo abbandonato al calore della madre che riposa per l’eternità. Copertina forte, quella di Heaven to Hell…

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LaChapelle, dato agli estremi, vorrebbe darci la sua visione del paradiso. Ha abbracciato il suo spirito di eccesso fin nei minimi dettagli, creando una pastorale burlesca che si sente, mentre sprofonda, disarmantemente sincera. Behold a New World raffigura tre figure sante intorno a una tenda di seta rosa, le mani giunte in preghiera, una cascata che si riversa dietro di loro. Forever appare come quattro viaggiatori spericolati che navigano in una gondola di fiori e foglie di palma, uno dei quali in un enorme copricapo piumato. Tutto ciò è garbatamente New Age, ma, come antidoto ai molti veleni di Lost + Found, funziona. LaChapelle non ha fatto alcun segreto della sua fede, e la “Buona novella”, con un piede nella cristianità e l’altra nel mito pagano, mira alla purezza senza cadere nell’autocontrollo.

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I critici di LaChapelle sostengono, come hanno fatto con il suo primo mentore Andy Warhol, che il suo feticcio – per la bassa cultura – non fa che rafforzare la sua banalità. A volte può sembrare che stia semplicemente facendo il tifo per le cose più brillanti nella discarica. Ma le sue foto, per quanto accecanti come sono, hanno una forza penetrante: macabre o bucoliche, non possono essere liquidate come semplicemente kitsch, almeno non ora. Le nostre fantasie e disordini sono sorti in superficie, lì dove LaChapelle li cercava da sempre.

Alessandro Carli

Gruppo MAGOG