17 Maggio 2020

“Creo mondi inaspettati, dove Mad Max si mescola a elfi in completo elegante”. Dialogo con David Fivoli, che ha scritto il romanzo che unisce molti generi, unico nel suo genere

“La fantascienza finge di guardare dentro il futuro ma in realtà guarda il riflesso della verità che è davanti a noi” diceva Ray Bradbury. Leggendo “Hunter. Disconnettiti o muori”, romanzo d’esordio di David Fivoli uscito per Rizzoli, non si può che sentire la potenza di questo aforisma, specie da quando la quarantena ci ha resi un po’ più allenati alla solitudine introspettiva e alla virtualità sociale. Un romanzo veloce, senza tregua, sempre tra realtà e immaginazione, cinematografico, ricco di citazioni letterarie e musicali, vera promessa per un genere storicamente sottovalutato e invece in continuo rinnovamento, come quest’opera prima dimostra.

Di cosa parla Hunter?

Hunter è un romanzo ambientato nel 2050, in un mondo in cui buona parte dell’umanità vive connessa a New Life, un sistema di realtà virtuale dove tutto è reale, morte compresa. Nel sistema ci sono diversi scenari, e ogni scenario ha dei requisiti di accesso e un’abilitazione specifica per armi, tecnologia e magia. All’interno di questo universo si muove il protagonista, in una classica avventura di ricerca e crescita, ricca di colpi di scena e condotta con una narrazione dal ritmo serrato.

Quando si parla di fantascienza è d’obbligo citare i padri nobili del genere: Asimov, Dick, Bradbury, Gibson… quali di questi autori ti hanno ispirato, e come?

Da un punto di vista squisitamente narrativo, pur apprezzando molto il genere ammetto che le mie influenze letterarie sono più orientate verso il fantasy che la fantascienza. Non il fantasy classico (Tolkien, per intenderci) quanto a un fantasy più favolistico o di cappa e spada. Per il favolistico, è impossibile non citare La storia infinita di Ende (che definirei un fantasy favolistico “bianco”) e Universo Zotique di C.A. Smith (decisamente più “nero”); per quanto riguarda il fantasy di cappa e spada, l’inarrivabile Il mondo di Newhon di Fritz Leiber, autore tedesco dello scorso secolo più noto per i suoi romanzi di fantascienza che per le incursioni nell’universo fantasy, e La torre nera di Stephen King, che per me rappresenta un caposaldo del genere. Se invece si parla di influenze concettuali, dirette o indirette che siano, tra i grandi autori sci fi citerei senz’altro Asimov e Gibson. Ma questo credo sia fisiologico, perché Asimov è stato il primo a confrontarsi compiutamente con il concetto del rapporto uomo-AI, e a porsi domande sulle AI che risultano attuali anche oggi; Gibson, invece, con Neuromante (romanzo comunemente e universalmente riconosciuto come il manifesto del cyberpunk) si è dimostrato un precursore di quella che poi sarebbe diventata la fantascienza 2.0. Nessun genere come la fantascienza restituisce il “senso del presente”. Sembra paradossale, ma è così.

Che cosa intendi?

La prima fantascienza proiettava l’uomo verso la scoperta e la conquista di mondi lontani. Non solo perché erano tempi di grande speranze per il futuro dell’umanità, ma perché il progresso stesso era “proiettato all’esterno”. In fondo, non si era fatto altro che proiettare il mito della frontiera oltre i confini non solo degli Stati Uniti, ma della Terra stessa. Questa fenomeno ha avuto il suo apice sia nella narrativa fantascientifica che parlava di viaggi spaziali e di conquista di nuovi mondi che al cinema, con Guerre Stellari. Poi, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, è iniziato a cambiare qualcosa. Il progresso ha iniziato a guardare non più verso l’esterno, verso l’infinito, verso il cielo, verso mondi lontani da immaginare o conquistare, ma verso l’interno, verso i processori, i computer. La nuova fantascienza non proietta l’uomo oltre i confini dell’universo conosciuto, ma lo fonde con i sistemi digitali, lo upgrada, in un certo senso, e si pone sempre più spesso domande proprie di nuovi movimenti culturali o discipline filosofiche, come il transumanesimo.

E infatti il tuo romanzo parte proprio da questo concetto, anche se poi durante la narrazione quasi ci scordiamo di essere all’interno di un sistema di realtà virtuale.

Credo che questa sia l’originalità del romanzo. Essere partito da un classico dell’immaginario fantascientifico e averlo poi contaminato in ogni modo possibile. C’è sicuramente sapore di Urban Fantasy, visto che maghi e magie sono presenti e importanti. Ma non definirei il romanzo un Urban Fantasy: si spazia da scenari post apocalittici a scenari con gli zombie, da scenari gotici a scenari western, da scenari futuristici a scenari fiabeschi e neri. Lo stile e il ritmo rimangono gli stessi, ma ogni diversa ambientazione ha in sottofondo un richiamo alla cinematografia di genere, ai fumetti, ai giochi di ruolo, alla narrativa. Anche la musica è importante. Il protagonista ha scelto di chiamarsi Deb Aser perché, come me, ama quel brano dei Pixies. E porta sempre con sé un vecchio iPod, unico ricordo del padre, sul quale sono caricate le canzoni della vecchia era. Quelle che ascolta durante il romanzo sono presenti in coda al libro. Si va dai Beatles ai Pink Floyd, dai Clash ai Rancid.

Sembra un esperimento tanto interessante quanto azzardato. In un mercato dove predomina la tendenza a specializzarsi in un determinato genere in modo quasi ossessivo per arrivare al target di riferimento, non rischi di scontentare tutti?

In effetti, sono riuscito nella formidabile impresa di aver scritto un romanzo che di generi ne unisce molti, riuscendo a fare torto a tutti. Vi piace solo la fantascienza classica? Bene, non c’entra nulla. Vi piace solo il fantasy classico? Scappate a gambe levate. Qui ci sono elfi in completo elegante dietro scrivanie di agenzie immobiliari, vampiri psicopatici alla presidenza di importanti team sportivi, punk che guidano l’auto di Mad Max ascoltando Nevermind The Bollock dei Sex Pistols. La forza del romanzo, però, è proprio questa. A suo modo, Hunter è unico nel suo genere. Da questo punto di vista, lo considero un romanzo d’avanguardia, e credo la sua uscita con Rizzoli sia un segnale importante. Certo, in Italia c’è ancora tanto, tantissimo da lavorare per riuscire a farsi notare e farsi prendere sul serio scrivendo narrativa di genere. Qui se scrivi qualcosa che odora di fantastico hai un grande handicap in partenza. È come correre i cento metri partendo dagli spogliatoi, mentre gli altri partono dai blocchi. La narrativa di un certo genere è sempre vista come narrativa di serie B.

Sbaglio o c’è un tono polemico, in quest’affermazione?

Non sbagli. Sono fermamente convinto che in quanto a fantasia e a capacità narrativa non siamo secondi a nessuno. Siamo semmai culturalmente schiavi di certi cliché autoimposti. Fantasia e italianità non sembrano più convincere nessuno. Il che è paradossale, considerando che abbiamo dato i natali a Dante e Calvino. E così i nostri scrittori di genere, anche i più capaci, continuano a essere visti con diffidenza sia dalla grande editoria che dagli addetti ai lavori. Eppure negli Stati Uniti nessuno si vergogna di scrittori come Poe e Lovecraft: autori di genere conosciuti soprattutto per i racconti. E tanto per fare un esempio narrativo… qualche settimana fa stavo leggendo una raccolta di racconti di Stephen King. Lui ha questa pregevole abitudine (almeno, io la adoro) di presentare i racconti con qualche riga che ne spiega la genesi; da scrittore, trovo meraviglioso sbirciare nella mente dell’autore attraverso le sue parole. Ora, nella prefazione di un certo racconto spiegava che quel racconto era uscito la prima volta per uno dei più grandi quotidiani di New York e… stop. Mi sono dovuto fermare. Ho chiuso il libro. Sono stato cinque minuti immobile, a riflettere. Uno dei più letti quotidiani americani che presentava un racconto di genere, per di più a tinte horror. Da noi sarebbe semplicemente impensabile. Ecco, io credo che dovremmo sprovincializzarsi, perché la narrativa di genere può essere grande narrativa. Non sempre, ma può esserlo.

Se un lettore di questa intervista ti dicesse che vuole regalare il tuo romanzo a qualcuno, quale categoria di lettore consiglieresti?

A un ragazzo. Bisogna regalare i libri ai giovani. Bisogna sommergerli di libri, libri che li facciano viaggiare e sognare. Libri di fantascienza o fantasy… per il mainstream ci sarà sempre tempo dopo, se diventeranno lettori forti. Che poi sia il mio o un altro poco conta, quello che risponderei è: comprate romanzi di questi generi per i giovani. E quando li scarteranno e rimarranno un po’ sorpresi a osservarli, cercando magari una porta USB o il pulsante d’accensione, voi dovete essere lì a spiegare che quello strano oggetto di carta è un supporto che si connette direttamente al più grande e potente processore che esista: la mente umana. Basta sfogliarlo e leggerlo. E si apriranno mondi inaspettati.

Viviana Viviani

 

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