30 Marzo 2019

“Lascio tutto nelle Sue piccole mani di velluto e di acciaio”: Cristina Campo contro il Papa, ad Alejandra Pizarnik

Il carteggio tra Cristina Campo e Alejandra Pizarnik, di cui sono venuto a conoscenza grazie a Stefanie Golisch, che lo ha devotamente tradotto dal francese, offre uno squarcio sul momento speciale – e per alcuni urtante e per altri oltraggioso – della vita della Campo.

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Cristina Campo con il gatto Pimpi

Sembra strano che il rapporto epistolare, particolare, tra la Campo e la più alta poetessa argentina del Novecento – detta, di volta in volta, ‘la Plath, la Dickinson, la Rimbaud argentina’ – non sia stato ancora recepito, neanche nella bella biografia di Cristina De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo (Adelphi, 2002), dove si citano le molte persone che in qualche modo hanno incrociato Cristina, tranne lei, Alejandra, non certo un personaggio di secondo piano. Soprattutto, il grosso cumulo di lettere tra Cristina e la Pizarnik, ventitré, si svolgono tra il 1963 e il 1965 – sostanzialmente, una lettera al mese – negli anni biograficamente decisivi della Campo. I genitori muoiono e lei si prodiga verso il prodigio della conversione. “Quella della conversione di Cristina Campo alla religione cattolica è una storia segreta, difficile da decifrare… Quel che è certo è che tra il 1964 e il 1965 qualcosa le parla, la raggiunge da distanze infinite” (De Stefano). La ‘nuova vita’ della Campo si avverte dal tono dell’epistolario con la Pizarnik, che appartiene al regno maudit della letteratura – poesia come liturgia, come mania – da cui Cristina, attratta, si distacca.

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In particolare, una lettera dell’estate del 1965 (che pubblico per gentile concessione) testimonia il lavoro indefesso di Cristina Campo per vincere il ‘progressismo’ liturgico promosso dal Concilio Vaticano II. La prima fase della lotta della Campo è “una raccolta imponente di firme per una lettera-manifesto al papa in cui si chiede che nei conventi venga mantenuta la liturgia latina” (De Stefano). La Campo chiede aiuto alla Pizarnik, che ha vissuto a Parigi nei primi Sessanta – dove le due si sono conosciute – e ha appena pubblicato, a Buenos Aires, la raccolta Los trabajos y las noches (il libro che la Campo “preferisce”). Alejandra consiglia all’amica alcuni intellettuali da contattare. Cristina Campo sceglie Gabriel Marcel, Dámaso Alonso, Octavio Paz, con una nota cinica, “bisogna scegliere dei nomi che siano ben noti, in Italia, conosciuti perfino dall’uomo della strada, cioè perfino a Santità”. La raccolta ha un esito clamoroso: il 5 febbraio del 1966 il manifesto è reso pubblico, con firme, tra gli altri, di W.H. Auden, Jorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Julien Green, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, María Zambrano. Firma anche Elémire Zolla – la solidarietà con la Pizarnik è evidente da alcune lettere di suo pugno – che tuttavia non ama le battaglie della musa (“Egli non vuole più saperne delle cose che per me sono la vita”, scrive lei, CC).

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Verranno, per la Campo, totalmente devota alla difesa dell’autentica liturgia cristiana, la creazione della sede italiana di Una Voce, “che si batte per la difesa del rito latino”, e la redazione del Breve esame critico del “Novus Ordo Missae”, presentato al papa il 25 settembre del 1969, con le firme dei cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci. In questo caso, la battaglia è persa. La Congregazione per la Dottrina della Fede giudica l’opuscolo appassionato, inappropriato, falso e “con l’approvazione del Novus Ordo Missae di fatto la messa tradizionale è vietata, e sarà concessa solo in casi particolari”. Cristina, come si sa, si avvicina a Monsignor Marcel Lefèbvre, fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (“Cristina era una devota di Lefèbvre, lo credeva un santo. Ogni volta che lo incontrava baciava il suo manto”, ricorda John Lindsay Opie “studioso di fama internazionale, a tutt’oggi il massimo esperto d’iconografia russa del mondo accademico italiano”, così Alessandro Giovanardi).

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Le lettere tra Cristina e Alejandra scemano. Nell’ultima, corposa, del 1970, Cristina consiglia ad Alejandra la lettura dei “libri di Rabbi Abraham Joshua Heschel, un mistico di pura tradizione chassidica che ho conosciuto in circostanze straordinarie. Credo che una grande ricchezza e una grande gioia l’attendano in queste pagine”. “Lettera di Cristina. Mi fa paura. Come se mi avesse scritto un angelo”, scrive la Pizarnik nel suo diario. (d.b.)

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Martedì sera, [estate], 1965

Cara,

il mio cuore non mi aveva ingannato. Sapevo di poterLe affidare i miei piccioni viaggiatori. La firma di Vittoria Ocampo è arrivata oggi stesso, poco dopo quella di Madariaga. Ho dato una scorsa alla lista dei nomi che Lei suggerisce con stupore. Quanta gente della cui esistenza ci si dovrebbe ricordare… Ho fatto una cernita. Bisogna scegliere dei nomi che siano ben noti, in Italia, conosciuti perfino dall’uomo della strada, cioè perfino a Santità. Quindi ho scelto [Gabriel] Marcel, Damaso Alonso, Wilson e Connolly. Klossowsky non è conosciuto e non mi interessa molto. Del resto, meno cattolici ci sono, meglio è. Quanto a Paz, gli può dire che questa lettera è un attacco alla “Chiesa”, più temibile dell’uccisione di 1000 preti. Infine, lascio tutto nelle Sue piccole mani di velluto e di acciaio. DirLe grazie? È troppo delicato e troppo rude. L’abbraccio.

Continuo a dimagrire, continuo a soffrire – a volte come un essere umano, a volte come una bestia. Vorrei scrivere. Oh sì, lo vorrei più di ogni altra cosa. Ma l’occhio continua a smarrirsi nella ricerca di forme squisite, di luci esatte, di spazi musicali che non ci saranno mai più. Lei non avrà mai visto, Alejandra, né i miei genitori, né il loro ritratto: la mia casa paterna. Questo fa male alla mia amicizia.

La Sua Cristina

Indirizzo di María Zambrano (sì, mi piace molto) fino al 20 agosto (lei trasloca quasi incessantemente): via della Mercede 37, Roma. O altrimenti a casa mia in doppia busta. Incantata dalla Sua lettura le farebbe piacere conoscerLa direttamente.

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