27 Aprile 2020

Il Covid e la fine della “società signorile di massa”. Sul divano di casa gli italiani erano già da molto tempo: il virus sta disintegrando una Repubblica fondata sulle rendite

La stagione calda scioglie le restrizioni e rompe con le regole. Per soddisfare il desiderio di “libertà” si rifanno alla svelta altre leggi.

La pausa “sospensiva” si chiude, rimettendo nella “cassapanca” i ricordi da raccontare ai pochi nipoti (è l’indice demografico ad affermarlo) nei prossimi decenni. Saranno i ricordi di una breve “guerra” vissuta mediaticamente da un divano di casa, più o meno di vaglia, che per ora ha prodotto solo consumi straordinari di etere e in rete. Tutto ciò con molte scuse ai “ragazzi” del 1918 e del 1945 che in queste settimane non avranno di certo amato i paragoni “bellici” fra il virus e i bombardamenti, fra il tinello di casa e le trincee.

A maggio, stagione dei tepori, cresce quindi l’inevitabile – e forse ingestibile – voglia di spazio fuori dalle rispettive dimore. Si tratta di quell’insopprimibile e umano impulso vitalistico, solo momentaneamente rallentato da quella massiccia overdose di insufficienti “verità delle scienze”, con i suoi deboli farmaci ed i suoi fragili dati.

Ora però facciamo un passo indietro.

Il sociologo Luca Ricolfi pochi mesi prima del grande contagio, in un aggiornatissimo libro (La società signorile di massa) aveva ben dipinto lo stato della società italiana. E sulla questione già diversi anni prima anche l’economista e letterato Geminello Alvi aveva scritto l’importante Una Repubblica fondata sulle rendite. Rimando ai loro scritti per gli approfondimenti adeguati.

Entrambi gli autori, insieme ad altri studiosi, da tempo avevano aperto gli occhi sulla realtà occidentale più “signorilmente decadente”, quella italiana; dove la crescita reale si è fermata dalla metà degli anni ’60, dove più del 50% della popolazione attiva e adulta non lavora, assistita dai vari sussidi pubblici, dove la crescita dell’ultimo decennio è a zero, dove si studia molto poco e non ci si laurea più (solo la Romania ha meno laureati di noi in Europa). Un sistema di vita italiano, economico e culturale, dove le “rendite” (case ed eredità), costruite dal lavoro delle generazioni precedenti, hanno garantito l’agio e l’esistenza delle generazioni successive; dove le proprie esistenze sono state garantite dalle pensioni dei padri e dei nonni (si, proprio quelli oggi abbandonati al loro destino nelle case di riposo senza alcun calore famigliare) e che ancora oggi sostengono le giovani generazioni inattive totalmente o parzialmente; e dove molti hanno concentrato il proprio impegno nelle attività senza “valore”, spesso sgradevoli, in “nero” o illecite, grazie all’esistenza di una sorta di “infrastruttura paraschiavistica” fondata su una quota di lavoro sottopagato composta da immigrati.

Insomma: una Italia che carica il lavoro solo su una minoranza di cittadini e che a sua volta concentra su di sé la grande parte del lavoro.

Un’Italia che scarica sulla maggioranza dei cittadini una finta agiatezza e un futuro senza futuro. Una nazione che si ritiene lo stesso ricca, ricca in massa e agiata.

Un’Italia fatta da brava gente, che punta l’indice verso i “tedeschi malvagi” (per ogni approfondimento su questo tema invito alla lettura del dissacrante testo Il cattivo tedesco e il bravo italiano dello storico Filippo Focardi). Gli italiani un po’ Sordi, come Alberto (Nanni Moretti nel suo film Ecce Bombo di molti anni fa urlava al “tipico medio-italico”: “Te lo meriti Alberto Sordi”), ed anche un po’ sordi perché intenzionati a non ascoltarsi mai: “Gli italiani sono sempre gli altri”, diceva già alcuni decenni fa il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.

Una nazione che era già da molto tempo “a casa”, ben prima del Covid. Sotto gli occhi di tutti. Anche di coloro che, a difesa sempre delle “classi deboli e delle ineguaglianze sociali” avrebbero dovuto già da molto tempo contestare marxianamente questa declinante società: senza trascurare le aritmetiche del lavoro e del pluslavoro estorto ai lavoratori come invece hanno fatto.

Sotto gli occhi di tutti, anche di quell’altra faccia della medaglia di una società in grande parte parassitaria se pur “signorile”: quella di una società dedita all’“ozio” incolto. Dove fitness, Amazon relax, gioco d’azzardo illegale (ogni forma legale di gioco è stata invece proibita) riempiono la buona parte della giornata “im-produttiva” della maggioranza degli italiani. Soprattutto i più giovani, che, tre su dieci fra i 20 e 30 anni, possono permettersi di non cercare lavoro perché il contesto famigliare glielo consente. I felici nipoti mantenuti ancora dai cascami del Piano Marshall e dai frutti della ricostruzione dei loro nonni. Pensioni, rendite ed elusione fiscale a sostegno del loro “tempo perso”. Dove peraltro il “tempo libero” potrebbe essere almeno una buona opportunità per accrescere se stessi e le proprie competenze. Anche con uno sguardo agli aspetti spirituali e culturali della propria esistenza, altrimenti arida se guidata solo da PIL e algoritmi biologici. Troppo complicato, troppo impegnativo. “A casa” (come anche al bar od al circolo) in tanti lo erano già, da molto tempo, ma solo per non impegnarsi.

Accadeva fino a solo un trimestre fa e tutto ciò sembrava sostenibile almeno nel breve periodo (non certamente nel medio) con i valori delle rendite e la quantità di sussidi ancora a “pieno regime”. Il Covid, mentre molti proseguivano la propria permanenza obbligata a casa, ha però accelerato la crisi di un modello di cui si erano già dimostrati i gravi limiti della sostenibilità sia economica che sociale.

Il virus, che sta – ancora per poco tempo – sussidiando con strumenti “emergenziali” un’economia già gravemente malata e un sistema scolastico che, tranne alcune eccellenze, già era ridotto ad ammortizzatore sociale, mostrerà a breve, soprattutto a coloro che non volevano sentire, la “novità” già ampliamente annunciata: il veloce declino persino delle rendite stesse, ultima signorile stampella di una “vecchia signora malmessa”.

Le scelte si fanno sempre più inevitabili e saranno fatte di azioni dirompenti, esattamente quelle rinviate sino ad ora, e faranno dissolvere velocemente anche gli ultimi elementi di una ricchezza ereditata e mal gestita. Chi deciderà di uscire da casa dovrà farlo pensando soprattutto al lavoro. Soprattutto a quello che si era già perso ben prima del Covid. Se non invertirà rapidamente il modello culturale ed economico che l’ha segnata negli ultimi decenni, la società di massa italiana si appresterà a perdere anche la sua residuale caratteristica, cioè quella del suo dolce carattere “signorile”.

Riccardo Pugnalin

Gruppo MAGOG