19 Agosto 2019

L’estate in cui Cosimo I Granduca di Tosacana volle costruire la Gerusalemme Celeste su un sasso (e il sasso si ribellò)

Nel ritratto del Bronzino, Cosimo I de’ Medici, Granduca di Toscana, ha un velo di barba, il viso ovale, gli occhi inquieti: nonostante indossi la corazza, la mano che accarezza l’elmo è sottile, elegante, da pianista, diremmo, fosse un alunno di Mozart. Non sembra un guerriero, ma un esteta – per questo, forse, la sua crudeltà fu astratta, decuplicata. A 17 anni fu messo a capo di Firenze, nel quadro di Pontormo sfida lo spettatore con caustica determinazione – pare il volto di uno dei tanti Davide, l’innocente omicida, che costellano il Seicento italiano –, in una mano tiene un libro, sull’anca sinistra sfoggia l’elsa di una spada. Si uccide per calcolo, la sapienza irrora la ferocia. Cosimo I era figlio di Giovanni dalle Bande Nere, il genio militare romagnolo, figlio di Caterina Sforza, la signora di Forlì che amava la danza e la caccia, si impiegava in esercizi alchemici, era guerriera.

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Tra canyon, precipizi carsici e foreste, il Sasso Simone, sul sentiero che parte da Petrella Massana, in Toscana, provincia di Arezzo

Sull’opera di Cosimo I, tuttavia, hanno vinto i cardi. Le prime pagine di Chadzi-Murat, il capolavoro di Tolstoj, sono dedicate al cardo. “Che forza straordinaria. L’uomo l’ha avuta vinta su ogni cosa, ha distrutto milioni di erbe, ma lui, il cardo non cede”, scrive il conte Lev, prima di raccontare la storia del suo eroe. I cardi, su questa rupe, sono ovunque – non sbraitano la loro bellezza, hanno il pudore dei forti.

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Mi ha sempre dato questa idea. Un cervello sul monte. Cosimo I immagina, con quelle mani leggiadre – favore genetico della nonna, forse – la città ideale, a Firenze. Convoca gli architetti – Giovanni Camerina e Simone Genga – dettaglia la propria Gerusalemme Celeste per farla atterrare, come un’astronave, in quel luogo magnifico e impervio. Che il luogo sia inadatto lo esalta: un re è tale se vince l’impossibile. Naturalmente, per Cosimo I la Gerusalemme Celeste è una fortezza.

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Cosimo I sceglie il Sasso Simone nel 1565, “luogo della massima importanza perché elevatissimo e inespugnabile”, dicono le cronache, tra Carpegna e Sestino, un parallelepipedo di pietra al crocevia di Toscana, Marche, Emilia-Romagna, cioè, all’epoca, tra Montefeltro, poderi della Chiesa, possedimenti di Rimini. “Chi vi edificasse un castello”, dice la cronaca, profetica, diverrebbe “come un leone fortissimo, potrebbe annientare tutti gli altri castelli e luoghi circostanti senza timore di attacchi”. La zampata leonina di Cosimo I, però, gli si ritorce contro.

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Sul Sasso Simone Cosimo I voleva costruire la sua Cape Canaveral, la base strategica da cui partire per conquistare il mondo. Quando cammini in quei boschi, con diversi te stessi che fanno le capriole nel petto, ti domandi, quanto manca perché divenga come quello schermo di foglie, quelle pietre memori di oceani?

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Il Sasso Simone visto dal Simoncello: sulla sua cima sarebbe dovuta sorgere la Città del Sole di Cosimo I: durata un secolo, nel 1674 fu dichiarata inabitabile

Il Sasso è una anomalia geologica: uno zoccolo calcareo in mezzo all’Appennino, un regno di pietra, alieno. Qualche sacrificio fu spiccato lì, nei primordi, perché quel sasso è corretto pensarlo la dimora di un dio – e gli dèi hanno fame. Si chiama Simone perché un eremita si era fatto una cella lassù. Gli eremiti sono come cardi – sui monti cerchi dio, ti offri come cibo al suo desiderio.

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Volvevo vedere cosa ne è della creatura di Cosimo I: un uomo è tale perché dissemina il mondo di città (reali o murate nell’immaginazione) che gli somiglino. Cosimo I, fine politico, era sbrigativo in fatto di misteri. Credeva che il ferro potesse trasmutarsi in oro, ma di dèi non aveva visto l’ombra – l’arte, piuttosto, gli sembrava la giusta contraffazione per non contrariare i celesti. Con una mano ordiva massacri, con l’altra fece costruire il Corridoio Vasariano e diede lavoro al Bronzino, a Benvenuto Cellini, al Vasari. Si diede da fare per alimentare la propria discendenza, creando sovrani adatti a guidare le città che avrebbe inventato: ebbe una quindicina di figli.

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Amo questa follia: un uomo inventa una città – parto della propria intelligenza – e la colloca in un luogo, per gusto di rischio, ignaro della sua natura, della sua verità geologica. Cosimo I è l’emblema del tardo Rinascimento: non conta l’uomo ma il suo potere, non conta la natura delle cose ma l’idea, non ha ragione il corpo ma la mente, l’unica fede è nelle proprie voglie. Il Sasso gli risponde quasi subito: l’opera di costruzione, difficoltosissima – sul trono del Sasso si ascende in verticale – inizia nell’estate del 1566; i primi abitanti vengono insediati nel 1573, esattamente un secolo dopo la città è implosa, dichiarata inabitabile, morta. Ciò che resta della città di Cosimo I è una strada in pietra, un pozzo, qualche ipotetico mattone, annientato dalle radici dei faggi, che si muovono come pitoni.

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Vedere come marcisce l’ennesimo Eden – ideato in un ufficio fiorentino. Cosimo I ha dominato genti, il Sasso non si è inginocchiato.

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La città ideale è il metodo con cui i principi, i signori e i re tentano di edificare la propria Bibbia. Di norma, si traduce in Babele.

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Per prima cosa costruirono il palazzo comunale e la Chiesa. Il luogo che instaura la colpa e quello che la redime; lo spazio della legge e quello della grazia. Poi le prigioni – perché Cosimo I, retto psicologo, sa che l’utopia è una topaia di canaglie. Il bordello, per ristorare la carne. Neanche i lupi salivano sul Sasso. Gli inverni sul Sasso schiantano la fiorentina perizia nel coltivare: i campi sono ustionati dal gelo. Proliferano malattie. L’epidemia è quasi un bacio – il prete, intuendo, forse, che quello non era il Tabor ma la dimora di dèi diversi, canini, fu il primo ad andarsene. Gli altri muoiono – neppure le bestie, alla vista della corruzione, si avvicinano. La carne, disfatta, dà nutrimento alla terra – la faggeta, scossa dal vento, sibila con centinaia di gole.

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Cosa resta della città di Cosimo I sul Sasso Simone: pietre ammutolite dalle radici

Qualcuno, più tardi, fu inviato a recuperare della città i materiali ancora utili: pietre squadrate, finimenti, il portale della chiesa. Cosimo I costruì la fortezza di Cosmopoli (ora Portoferraio), la ‘città di Cosimo’, all’isola d’Elba e Eliopoli (Terra del Sole) nei pressi di Castrocaro. La città a cui teneva di più – per l’ostinata difficoltà nell’erigerla, una sfida al creato – si disintegrò quasi subito. Si chiamava Città del Sole, perché le sue mura, toccate dal sole, abbacinavano i dintorni.

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Più difficile è scalare il Simoncello, il sasso gemello del Simone. Per innata vergogna, il Simoncello si cela dietro la foresta: bisogna imboccare un sentiero non segnato, poi arrampicarsi lungo una facile ferrata. Sulla cima, un prato scapigliato, dove probabilmente, come simboli biblici, in bilico sul mistero, si riparano nuvole di serpi. Fabio, che mi ha accompagnato in gita, guarda il Simone dal Simoncello e mi dice: “vedi, le piante stanno scalando il sasso, lo hanno preso d’assedio”.

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Non sappiamo più i nomi delle pietre, non sappiamo leggere la storia dei luoghi dalle pietre: a che discendenza possiamo dare avvio, allora?

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La città di Cosimo I: una specie di Atlantide al contrario, affondata nella foresta, ghiotta di ciò che l’uomo fa per errare.

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Si passa dalla foresta, benedetta dal muschio, a scenografici canyon carsici. Roccia frantumata in crinali marziani – la vertigine confonde il senso delle misure, attrae, alleva al precipizio. Più tardi, avvistiamo un falco. Aspetta che ci accorgiamo di lui, poi spicca il volo, plana, ispeziona, senza toni nobiliari è lui l’erede momentaneo del sole. (d.b.)

*In copertina: Cosimo I de’ Medici ritratto dal Pontormo nel 1538, a 19 anni

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