29 Aprile 2018

“Confesso gli iniqui. Dopo aver conosciuto la discendente del Marchese De Sade, riapro il mio studio”. Alessandro Carli dialoga con Rosangela Betti, la fotografa amata da Mughini

L’avevo lasciata più o meno tre anni fa (anche se in questi mille giorni abbiamo continuato a frequentarci con una certa assiduità) in occasione di un evento con i controcazzi che avevo seguito per un quotidiano di Rimini e che era stato ripreso integralmente da Dagospia, che non è esattamente l’ultimo degli ultimi, anzi. Servizio dinamitardo, straordinario, dandy, dissacratorio, di quelli che lasciano il segno e che vengono raccontati anche nei lustri a venire a chi quella sera non c’era.

Ora Rosangela Betti (in copertina, photo Paolo Croci), fotografa trapiantata all’ombra del ponte di Tiberio (“Mi piace l’acqua” mi confessa) da una vita, è pronta per ripartire. Il suo nome non è esattamente sconosciuto anche da chi mastica poco l’arte: è stata pubblicata su varie riviste e giornali quali Repubblica, il Corriere della Sera, l’Unità, l’Espresso, Capital, GQ, NU, Life People e su qualche libro. Dovesse non bastare, ha esposto in Spagna, in Germania, in Francia e in Russia, oltre che in Italia. Non molto tempo fa in Friuli è stata organizzata una mostra in onore di Tina Modotti. Lei è stata l’unica italiana presente con qualche “scatto”. Gli altri? Weston, Araki, LaChapelle. Una persona tutta d’un pezzo, un po’ dandy, mai banale: sembra una scacchiera, sempre vestita di nero di bianco, con le unghie dipinte di nero e anulare bianco. E così anche i piedi. Ma soprattutto piena di energia. La incontro a casa sua. Taccuino e penna. “Alessandro, sei arcaico come piace a me”.

La notizia è più o meno la seguente: riapre la sua Officina, il suo need_oh, il nido dell’arte con un sospiro di bi_sogno, il bisogno di fare e diffondere arte. Un posto straordinario, esempio cristallino di archeologia industriale, un’ex officina meccanica appartenuta al babbo e riconvertita in una factory. L’appuntamento è per il 12 maggio(il programma di inaugurazione sarà svelato presto).

Ti sei fatta un anno in zìr. Vado a memoria: Lisbona, Venezia, New York e Roma. Cosa vuoi, cosa cerchi dall’Officina Betti?
“Esattamente quello che volevo anni fa quando è iniziato il restauro dell’officina paterna ricevuta in dono. Dopo due anni, esausta fisicamente e monetariamente e non avendo trovato con chi portare avanti il mio progetto, ho chiuso. Sono partita. Destinazione Lisbona, 28 marzo 2017. Andata senza ritorno, anche se poi sono tornata. Sono stata in Portogallo quasi quattro mesi, è stato bellissimo. Ho incontrato persone semplici ma anche di alto rango, come una contessa con château in Camargue. La contessa De Sade, discendente del famoso De Sade. A Lisbona ho realizzato il mio ultimo lavoro dopo aver incontrato Ana. A breve farò un’installazione e poi il progetto diventerà itinerante”.

Partita così, su due piedi…

“Sono partita dopo aver donato al Museo di Spilimbergo 6.000 fotografie originali e 12 macchine fotografiche. Il perché? Perché me lo chiedevano ed io non volevo più fotografare. Sono arrivati con un piccolo camioncino. È ripartito strapieno. Contavo le fotografie e piangevo. Rivedevo tutto di me, i sogni, le passioni, gli amori, la mia vita passata”.

Raccontami di Lisbona e della Grande Mela.

“Arte inesistente, sono indietro di 20 anni. A New York non è tanto diverso: gallerie in ogni dove, luoghi magnifici. Vecchie fabbriche e grandi spazi. Ma poca qualità”.

Cosa ci metti dentro all’Officina?

“I viaggi hanno avuto in me un effetto terapeutico. Mi sono ripresa e ho deciso di riaprire l’Officina Betti art gallery. Il progetto ha attirato le attenzioni di alcune persone. Ora vediamo i fatti concreti”.

Andiamo all’imminente presente. Una data, 12 maggio.

“Inauguro l’Officina. Alla conferenza stampa ho invitato il sindaco di Rimini Andrea Gnassi e l’Assessore alla cultura Massimo Pulini, che mi ha dato conferma. Partirò con una mia mostra, ‘CAOS 1968-2018’, 50 anni vissi d’amore e arte. Un percorso lungo mezzo secolo che spazia dalla pittura alla fotografia. Un’installazione su 250 metri quadrati in ordine sparso e senza ordine cronologico. Caos, appunto. Se si guarda attentamente la mia pittura e la mia fotografia, ho sempre fatto la stessa cosa. Al centro c’è la mia ossessione per la figura maschile e femminile. Solo successivamente è arrivata la figura transessuale. Invece sin dall’inizio, quindi dal 1980, ho fotografato me medesima attraverso il self portrait. Bisognerebbe che qualcuno mi studiasse. Freud è morto. Nell’Officina darò spazio a chi vorrà esprimersi attraverso le arti, la musica, lo spettacolo e i mestieri. Come una volta. C’era una volta ma oggi non ci sta più. Così come la fotografia. Non sopporto tutti questi giovani che fanno fotografia senza averla studiata. Nel mio spazio voglio ospitare mostre di grandi fotografi. Quelli che hanno fatto la storia della fotografia e che sono tutti morti”.

Una specie di Studio 54, punto di riferimento di New York.

“Di più. Una factory. Cercherò di mettere su la ‘Officina Betti Edizioni’, una casa editrice per promuovere libri unici. Sto cercando una vecchia tipografia con caratteri ‘Bodoni’. Poi c’è anche la ‘Officina Betti Moda’. Anche in questo caso sto cercando chi la vuole produrre. All’interno dell’Officina metterò in vendita tutta la mia collezione privata, pittura, scultura e fotografia (per farsi un’idea basta dare uno sguardo al sito). L’arte è un bene rifugio. L’investimento in arte è l’unica cosa che merita attenzione”.

Riesci a gestire tutto tu?

“Impossibile. Sono alla ricerca di un web master che crei una app per la gestione e la vendita delle opere, ma anche alcune figure professionali che si prendano la gestione dello spazio e che curino la parte legata al marketing.

Cosa vedremo il 12 maggio?

“Oltre ai 250 metri quadrati di spazio al chiuso, c’è anche un’area di 2.800 metri quadrati all’aperto. Nell’area verde voglio una tenda berbera per fare le feste come una volta e ci si siederà sui cuscini enormi e damascati bevendo champagne al lume di candela. Relazionare dal vero. Vietati i cellulari. Punto bar e ristoro interno. Esterno in gabbia. Gazebo. Nella parte alta dell’Officina ci sarà un soppalco per vedere da vicino l’origine du monde. Canne al vento in recinzione in una zona relax parcheggio. Cartelli pubblicitari tipo Piccadilly Circus o Times Square. Container da affittare in cui uno ci fa quello che vuole. Una casa su un albero. Cena per due al lume di candela. Confessionale. Antico. Io confesso gli iniqui. Senza assoluzione. Perché chi è causa del suo mal pianga se stesso. L’Officina vuole diventare un luogo in cui stare, un luogo in cui le persone si incontrano e condividono attimi ed emozioni. Dal vero e non in web. Oggi sono spesso soli e ricurvi sui telefonini. Bisogna rialzare la testa. Da ogni cosa, soprattutto per i sentimenti”.

Torniamo nel passato. Hanno scritto e parlato di te Italo Zannier, Denis Curti e Giampiero Mughini. E hai fotografato molti personaggi famosi.

“Sì, perché li ho incontrati. Tutto il mio lavoro verte sull’incontro. Nel 2001 ho fotografato Marina Ripa di Meana. Alcuni scatti li ho anche dipinti a mano. Successivamente le è stata dedicata una mostra. Bisognerebbe riproporla. Poi Mario Luzi, Erri De Luca, Mario Giacomelli, Pino Insegno, Antonella Elia, Giovanna Casotto, Gian Maria Volontè, Giancarlo Giannini, Lory Del Santo. In contesti pubblici o a casa mia”.

Di te Giampiero Mughini ha detto: “Ho conosciuto Rosangela Betti attrezzata delle sue foto di una creatura meravigliosa, la diciannovenne Angela Allegrezza, da lei scovata e fotografata. Da quel momento sono stato sempre curioso e vorace degli incontri fotografici di Rosangela con il Femminile, l’ultimo dei quali con la piccante e squinternata mia amica Isabella Santacroce. Sempre in queste foto mi ha colpito una sua capacità di guardare il corpo di una donna che non so se definire maschile o supremamente femminile. Una donna che fotografa una donna e se ne avvampa. Un incendio”. Beh…

“Angela Allegrezza è stata la mia prima musa. Era il 1986. Le foto più belle della mia vita. Le ho fatto due servizi e un paio di video. Un incidente se l’è portata via. Giampiero ha scritto di lei in due libri, ‘Un secolo d’amore’ e ‘Sex revolution’. Giampiero è mio amico, estimatore e collezionista. Ha acquistato alcune mie fotografie. Di Angela quasi tutte e ne ha fatto un libro privato, ‘Dedicato a: ROS/ANGELA’. La mia seconda musa è stata Isabella Santacroce. Per 15 anni. Lei scriveva io le facevo le foto. Un lungo rapporto di amicizia che esiste ancora. Ana è l’ultima mia musa. Ci siamo conosciute a Lisboa. Simpatica, bellissima. È la mia San Sebastian femmina ma senza frecce. Sulle foto ho apposto alcune scritte a penna.”.

La vita e l’arte sono eterni?

“Tutto ciò che biologicamente nasce, in quanto prima non c’era, è comunque destinato a morire. Si può pensare all’immortalità solo nel caso si dicesse ‘sì’ all’arte: in quanto ars, non ha né inizio né fine. C’era prima dell’uomo, l’arte, e ci sarà anche dopo la sua scomparsa”.

Alessandro Carli

 

Gruppo MAGOG