03 Febbraio 2020

Barbara Costa seleziona le 10 scene più conturbanti della storia del cinema, quelle che fanno venire voglia di sesso. Da “Proposta indecente” a “Baby Doll”

Nel sesso, si sa, tutto parte dal cervello, null’altro attiva una vagina come ciò che le viene dalla mente, e più grazie a un gesto, un tono di voce, un particolare che prende e avvince uno e più tra i sensi. Ognuna tra i sensi accende il suo, lo ha sensibile a modo suo, io qui ti parlo del visivo, e te ne faccio esempi concreti prendendo a prestito il cinema. Da pornografa, lo ammetto, sono un po’ ‘viziata’, vale a dire che del cinema non porno sgamo subito la scena hot meno riuscita, quella fatta male, soprattutto i baci: in gran percentuale sono falsi, io capisco ma non approvo la ‘legge’ di non mettere la lingua, ma insomma, ai miei occhi, che quei due sullo schermo in realtà si schifano, è palese! Nel porno vi sono regole diverse, ci si bacia come baci chi nella vita vera ti piace: per intenderci, come fanno in macchina Valentina Nappi e Manuel Ferrara in quel sex-car-video che trovi su PornHub. Scusa, ho divagato, ti dicevo che la vagina si avvampa per un dettaglio, e quel ‘clic’, quella morsa nel sesso che una donna eccitata ‘sente’, scatta quando ci mettiamo davanti ai porno che amiamo, ma scatta anche davanti a un film ‘tradizionale’, e non sempre davanti a una scena con attori seminudi che recitano effusioni su un letto. Scatta spesso davanti a scene che del sesso mostrano nulla di nulla, e però sono impregnate di sessualità. Ti dico quelle che lo fanno a me, non un elenco ma un album, delle mie preferite, scene di cinema che mi lasciano segni nella mente, e che mai smetterei di guardare.

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Proposta indecente, di Adrian Lyne, 1993. Non lei che si rotola sul letto nuda, tra le banconote, e nemmeno lo sguardo e il tono di voce di Robert Redford che le dice: “Tu non mi odi: vorresti odiarmi”, anche se Redford ci sa fare, e parecchio, no: qui il ‘clic’ clitorideo mi scatta nella scena della bottiglia di vino che Woody Harrelson tira e spacca sul muro della cucina, e siamo al punto in cui Harrelson è scoppiato, pazzo, geloso, ché tutti i soldi che ha guadagnato vendendo Demi Moore a Redford non gli servono a placare la rabbia di sapere ‘quella’ verità, quella che sa ma che vuole sentirsi dire dalla moglie, quella verità che lei non gli nasconde più, e cioè che è vero, con Redford ci è andata per soldi, ma ha goduto e le è piaciuto.

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Pelle di serpente, di Sidney Lumet, 1959. Dove Anna Magnani è sposata ma c’ha il marito infermo a letto, ‘fermo’ pure a livello sessuale, e quindi lei è preda di voglie implacabili. Finché arriva Marlon Brando, vestito di pelle nera, che ci tiene a farle sapere che lui ha sempre la temperatura corporea a 38 gradi…ma la scena per me più sozza è quando lei gli mostra la camera da letto degli ospiti e l’inquadratura si ferma per un lungo istante sul quadro appeso sopra il letto dove Brando poi mette incinta la Magnani, la stessa stanza in cui la prende a schiaffi e soldi in faccia.

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Bonnie & Clyde, di Arthur Penn, 1967. La Coca Cola! La scena di Bonnie che la beve, a gran sorsi e con gusto, e si passa la bottiglia sulle labbra. E come, subito dopo, tocca la pistola di Clyde! Bottiglia e pistola stanno a simbolo dell’impotenza di Clyde, la Coca Cola sta per lo sperma, ovvio, che Bonnie ingoia da brava ragazza qual è. Ma lo sai che questa riuscitissima scena (e il film tutto) fu immune alla censura per puro vuoto normativo? Approdò ai cinema – floppando alla grande – quando il codice Hays era decaduto, e le nuove regole sulla censura non ancora entrate in vigore.

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Lolita, di Adrian Lyne, 1997. La scena di Lolita che ritira il bucato e Humbert sta in giardino a leggere e lei deve rientrare in casa col cesto dei panni, e ha tutto lo spazio per farlo, e invece vuole stuzzicare Humbert, già cotto marcio: vuoi mettere la soddisfazione che ti dà esercitare il tuo potere di femmina su un uomo? E allora Lolita gli passa davanti, col cesto tra le mani, e lo alza e passa le sue gambe nude tra le gambe vestite di Humbert, per scavalcarle e toccarle, per un istante, e nient’altro.

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L’amante, di Jean-Jacques Annaud, 1992. Qui si sc*pa, in tante scene, seppur simulate, qui il sesso è onnipresente dall’inizio alla fine, ma a me fa impazzire una scena, un gesto di lei, Jane March, quando sta uscendo dal collegio, e scende scalza le scale, getta le scarpe che ha in mano sul pavimento, e le indossa. Una scena stupida, che si perde insignificante tra la trama. Ma io con la mente sto lì, e da lì “parto”. Quel che succede dopo, mi smuove nulla. A dirtela tutta, questo film, poco lo reggo.

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La gatta sul tetto che scotta, di Richard Brooks, 1958. Liz Taylor e Paul Newman c’hanno la crisi, lui si pensa cornuto e vuol farla pagare a lei non dandoglielo più, mettici pure che lui te lo mangeresti col fatto che sta la gran parte del film sdraiato, che non può camminare in quanto ingessato. Qui la scena della Taylor che si slaccia si sfila e si cambia le calze, con lui che sul divano la guarda, in innegabile erezione, e per non ammettere la voglia, per non riconoscerle ‘quel’ potere, dà di matto. E lei, meravigliosa, che sa di averlo se non in pugno quasi, e non demorde. Non amare questo film, e gli sguardi di questi due in questo film, è reato.

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Baby Doll, di Elia Kazan, 1956. Lei che dorme nella culla, in baby-doll e pollice in bocca. Col marito fuori, che brucia a guardarla dal buco della serratura. E lei che si scherma con la minore età, e la promessa fatta al padre morto! E la scena di Carroll Baker e Eli Wallach, tutti e due sul dondolo, e come chiude gli occhi e le labbra lei a quel dondolio e alle parole di lui? Niente alibi: con Kazan alla regia su script di Tennessee Williams, il sesso è sommamente servito. Perché erano (ex) fobici, entrambi. Geni, ma legati a tabù da martirizzare sul foglio e sullo schermo.

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Riso amaro, di Giuseppe De Santis, 1949. Ma solo a me, nella scena con Silvana Mangano e Doris Dowling, in sottoveste, in dormitorio, che parlano e architettano, mezze nude e a tutto schermo, solo a me, ripeto, infuriano pensieri lesbici? Per quello che non vedi e forse fanno.

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9 settimane e mezzo, di Adrian Lyne, 1986. Ma quale frigorifero, quale spogliarello, sebbene la scena del sesso per strada sia meritoria: no, qui mi piace Kim Basinger che si piega ed è in ginocchio e su ordine di lui inizia a gattonare, guidata dalle banconote che lui le getta a premio. Non ti mette voglia di imitarla?

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Il grande sonno, di Howard Hawks, 1946. All’inizio, Humphrey Bogart che entra a casa Sternwood, e Martha Vickers, appena lo vede se lo divora cogli occhi come farei io, e poi fa quello che io mai farei con un uomo perché non mi fido: gli si abbandona cadendogli intenzionalmente all’indietro, e Bogart la afferra e la ferma tra le braccia, ma poi la manda via, e dice imperioso rivolto al maggiordomo: “Svezzatela, è ora!”.

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E queste sono le prime scene di sesso senza sesso a cui la mia mente lasciva e perversa è andata. E tante sono di Adrian Lyne, un regista ossessivo, invadente, molesto. Un maniaco, uno fissato coi particolari che dai suoi occhi ai tuoi diventano feticci. Adrian Lyne che a visivamente farmi scattare il clitoride è maestro, e di questo gli son grata, e però ce l’ho con lui perché ha fatto troppi pochi film.

Barbara Costa

*In copertina: Marlon Brando in una fotografia di scena da “Pelle di serpente” (1959) di Sidney Lumet, con Anna Magnani e Joanne Woodward

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