09 Marzo 2020

Chiese vuote, supermercati presi d’assalto. Di fronte al virus un pacco di pasta è meglio di Dio. D’altronde, la Messa è come una seduta in palestra, una gita a Cortina. Ma il nostro compito è essere segugi dell’invisibile, dell’incomprensibile

Il segno è ineluttabile: le Chiese sono vuote, i supermercati sono presi d’assalto. Nelle Chiese non risuona il rito, nei supermercati, le basiliche del millennio, ti fanno entrare a scaglioni – Milano – oppure in lieta follia – Riccione. Gli amici mi dicono di una Milano deserta; al contrario, la spiaggia di Riccione e i parchi sono affollati di umani. I milanesi evidentemente hanno qualcosa da difendere, i riccionesi credono che se oggi è l’ultimo giorno, tanto vale godere. Due gesti in modo equivalente stupidi, ma il secondo, insano per la sanità, è più sano per l’esistere (ogni giorno, in effetti, può essere il solo, l’ultimo).

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Il segno è ineluttabile: nel momento del pericolo si preferisce fare scorta, si vuole la pancia piena e la Chiesa vuota. Nessuno cerca Dio. Un pacco di pasta è meglio di Dio.

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Certo: è tutto buono & giusto, è tutto secondo regola & ragione. Ma da quando il cristiano ragiona secondo la ragione del mondo, si regola ai decreti pubblici? Se la Chiesa si uniforma ai valori del tempo, ai voleri dello Stato, s’inchina alla ragionevolezza, la Chiesa non esiste più. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri pubblicato l’8 marzo in Gazzetta Ufficiale afferma che “l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro”. In effetti, la Chiesa aveva già adottato con profetico tempismo le misure di Stato: da quando è iniziata la Quaresima le Messe vanno in onda in streaming. La Chiesa non è di Stato, obbedisce allo Stato, come un pub qualunque.

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Alcuni Vescovi leggono la messa in quarantena della Messa come un evento di Quaresima: siamo nel deserto. Questo è l’Arcivescovo di Milano, Angelo Scola: “la scelta fatta di sospendere le Messe in alcune regioni, una scelta obbligata presa in collaborazione con le autorità civili, a me sembra possa avere anche una grande utilità spirituale”. Eppure, il cristiano potrebbe scegliere di rischiare, di optare per il miracolo più che per la scienza, e il padre spirituale dovrebbe sacrificarsi in adorazione di questa scelta. Se non si condivide il pasto, se non si dice grazie attraverso l’eucarestia, responsabilmente, come si può vincere il deserto, il luogo dove ogni morgana appare veritiera, dove è facile scambiare il male per bene?

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Intendo: se nel momento della morte la Chiesa è assente, che Chiesa è? Se nel momento del disastro chi ha parole che vincono la morte si dilegua, come potremo fare del caos una prova? Resto con il segno piantato in fronte: il virus dilaga, i supermercati sono presi d’assalto, il rito è in oblio. Visto che è impossibile nutrirsi dello spirito, si fa scorta di cibo. Questo è. Dio è inteso come un impianto sciistico, come una serata al cinema, come una cena al ristorante: quando verranno tempi migliori, potremo andare in Chiesa ad ascoltare la Messa e tornare in palestra. Almeno i bar fanno servizio dalle 6 alle 18.

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Se l’uomo di Dio ha paura della morte, che ne è di Dio?

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Nella lettura domenicale, che paradosso, Paolo insegna: “soffri con me il Vangelo, nella potenza di Dio… il nostro Salvatore Gesù Cristo ha reso inerme la morte, ha fatto splendere l’altra vita” (2Tm 1, 8-10). L’evidenza dei fatti afferma il contrario: la morte vince, dell’altra vita importa niente. Il testo evangelico è quello della Trasfigurazione: “fu trasfigurato… il volto splendeva come il sole, le vesti divennero bianche come luce” (Mt 17, 2). Gesù si trasfigura “in disparte, su un monte elevato” (Mt 17, 1), davanti a “Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello” (idem): la salvezza può essere per tutti, la rivelazione per pochi; l’elevazione è spirituale ma anche fisica; per mirare l’invisibile bisogna farsi da parte, in disparte, sparire. Quanti volti abbiamo, quante facce nasconde questa, che mi rimanda, ostinatamente pertinente, lo specchio? Trasfigurare vuol dire andare al di là di questa figura, di questo aspetto, di questo corpo.

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“Una nube luminosa fece loro ombra” (Mt 17, 5). Secondo Gregorio di Nissa, “chi vuole entrare in contatto con Dio deve liberarsi di tutto ciò ch’è apparenza e, tendendo il suo intelletto verso l’invisibile e l’incomprensibile come verso la cima di un monte, credere che là è la divinità, dove non giunge la comprensione” (Vita di Mosè I, 46). Invisibile e incomprensibile sono il nostro fine, non ciò che ci terrorizza. Brancoleremo verso il divino, senza Chiesa. (d.b.)

*In copertina: Giovanni Bellini, “Trasfigurazione di Cristo”, 1478 ca.

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