17 Dicembre 2018

Cari bambini, cari adulti intrisi di sogni, entrate nel mondo fatato e fatale di Tommaso Landolfi, lo scrittore delle tenebre

Si potrebbero consumare pagine nel raccontare le sfortune editoriali di Tommaso Landolfi.  Sfortune figlie sì dell’incompetenza di chi ne ha posseduto le immense opere, ma soprattutto frutto di germogli nati appassiti dall’autolesionismo dello scrittore fiorentino. Si potrebbero al tempo stesso scrivere, poi incendiare e quindi riscrivere decine di tomi ricolmi di aggettivi per descrivere questo grandioso autore: scrittore per scrittori, scrittore elusivo, scrittore delle tenebre, scrittore minore, gigante invisibile tra i giganti. Gigante come traduttore (da Gogol’ a Puskin, passando per Dostoevskij), gigante come romanziere, gigante financo come poeta. Gigante rispolverato e abbracciato (per la prima volta) quand’era oramai troppo tardi, da due grandissimi come Calvino e Manganelli.

LandolfiMa è solo per l’amore di una figlia, Idolina, che l’ha amato più di ogni altro, se oggi abbiamo tutte (tutte) le sue opere edite da Adelphi.  L’amore di una figlia, che l’ha amato amorevolmente sorda e cieca al cospetto di un uomo sì coltissimo, ma squattrinato, disadattato, dipendente dal gioco, assente, misantropo, donnaiolo e misogino assieme. È per l’amore di una figlia se abbiamo scoperto e riscoperto l’aspetto forse più fanciullino e fantastico di suo padre. Quello di autore di fiabe. Fiabe destinate ai bambini ma al tempo stesso capace di catturare, incantare e incatenare alle pagine anche gli adulti.

Già, bambini. Si avvicina il periodo in cui i bambini per qualche giorno almeno si sentono illusi e illusori protagonisti di un mondo che sembra oramai precluso alla loro innocenza narcotizzata. Narcotizzata dall’abbandono e dagli orpelli elettronici. Ma ai bambini si raccontano ancora le favole? Li si immerge ancora in un mondo, nel loro mondo, fiabesco e fanciullesco? Tommaso Landolfi si è già presentato come autore di racconti fantastici: “La pietra lunare” e “Il mar delle blatte”. Racconti il cui lessico aulico, poi ancora desueto, quindi raffinato così come dirompente, è cibo e gioia per la mente. Cibo nello scoprire il significato di termini perduti quali “fralezza, madore, scoscio” e quindi  inventati come “azzurria”. Gioia nel perdersi nel fluire grottesco e nel paradosso, di ogni singolo racconto.

Il successivo “Il principe infelice” (scritto nel 1938 e pubblicato solo nel 1943) consente a Tommaso Landolfi di presentarsi in un contesto di genere totalmente e meravigliosamente fabiesco.  Un libro di racconti, cui emerge in tutta la sua immaginifica e accogliente beltà, proprio lo scritto che dà il titolo alla raccolta. Una storia leggera e leggiadra, gioiosa e giocosa: il figlio di un re saggio, abitante ai confini dell’impero della Luna, diventa l’uomo più sapiente del mondo. Ma la sapienza è solitudine. La solitudine è malinconia. La malinconia è tristezza. La soluzione è nel mondo dei sogni e nel mondo dei sogni c’è sempre una principessa. Poco importa che per il principe ci sia in gioco tutto il suo regno. La felicità alla fine arriva e vale milioni di candele.

LandolfiMa come raggiungere questo mondo dei sogni?  C’è una minuscola creatura a indicarne la strada alla principessa: “Ma che dirti? Neppure io so dov’è il Paese dei Sogni, solo gli Gnomi lo sanno. Ho sentito dire che per raggiungerlo bisogna prima valicare le Montagne di Diamante, attraversare la Terra dei Fuochi Folletti, quella degli Orchi, la Brughiera delle Streghe, l’Impero della Luna, e da ultimo il Paese degli Animali Parlanti”. Entriamo in una qualsiasi libreria, prendiamo i primi dieci, venti, cinquanta libri tra le “nuove uscite”.  Non troveremo nulla di così semplice eppure così evocativo. Dì così leggiadro eppure così dirompente. E neppure se ne sfogliassimo cento, troveremmo la perfezione poetica e incantata della descrizione dell’impero della Luna: “Rami [la principessa, ndr] girava in quell’eterno crepuscolo sforzandosi inutilmente di afferrare i veri contorni delle cose: erano tutte imprecise benché, invece, nitidissime, tutte lontane e fulgenti benché prossime e velate. C’era una nebbia da cui i suoi occhi non potevano mai liberarsi, che smorzava lo sguardo eppure dava bagliori di diamante, e ogni oggetto pareva freddo, ghiacci i vestiti inzuppati di luna, gelati e senza vita i colori, la frutta di vetro, ‘acqua d’alabastro, di cera il viso delle persone”.

Ci sarebbe da riportare ogni pagina, ogni passaggio e lasciar suonar da sole le parole, senza ausilio di un’esegesi che sarebbe solo affronto. Landolfi andrebbe letto tutto, ma prima di affrontare tutto si può cominciare proprio da qui. Le sue “storie per l’infanzia” sono costruite, tessute, ricamate e suonate in modo da consentire più livelli di lettura. Leggi una favola ma hai la sensazione di aver letto tutt’altro. Leggi una favola e sei colto da citazioni, echi letterari, allusioni e ironia. E ti rimane nell’animo un retrogusto di cupezza e malinconia è l’eco di una morale. Scontata quando non è un sommo come Landolfi a sviscerarla: non è la ricchezza a dare la felicità, ma la capacità di sognare. Come sapevano e forse sanno ancora fare i bambini.

Cosimo Mongelli

Gruppo MAGOG