21 Novembre 2019

Blade Runner? Lo ha scritto William S. Burroughs, ovviamente

Questa storia comincia con uno scrittore di nome Alan Edward Nourse, pressoché sconosciuto al di fuori dell’ambiente, come si dice, nato nello Iowa nel 1928 e passato negli altri mondi nel 1993; ogni tanto si firmava Al Edwards o Doctor X. Dopo aver prestato servizio in marina durante la Seconda guerra, Alan si iscrive a medicina, piglia la laurea e pratica. Lo si ricorda perché, in sostanza, i suoi libri fondono il genere fantascientifico con elementi pienamente scientifici, per non dire medici. Piuttosto noto, in Italia è stato tradotto assai, per lo più per Mondadori, nella collana ‘Urania’ (La rivolta dei Titani, I mercenari, Il quarto cavaliere); libri ormai fuori moda e introvabili, se non gitando per bancarelle.

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Il romanzo più noto di Alan E. Norse, The Bladerunner, è pubblico negli Usa nel 1974 e tradotto da Mondadori dal bravissimo Giuseppe Lippi nel 1981 con un titolo bestiale, Medicorriere. Questa la quarta: “Nei primi decenni del Duemila, le autorità hanno instaurato un sistema crudele e semplice per limitare l’eccesso di popolazione: l’assistenza medica è gratuita per tutti, ma a condizione che il malato accetti di essere prima reso sterile. Molti non accettano, e nasce così una medicina illegale, clandestina, svolta da medici e infermieri che operano in condizioni precarie e pericolose, braccati dalla polizia del Controllo Sanitario. Ma il personaggio centrale di questo sottobosco è il medicorriere, una specie di contrabbandiere di strumenti e medicinali che si muove tra loschi fornitori e dottori idealisti, tra l’assillo di essere scoperti e incarcerati e il terrore di finire nelle mani dei fanatici Naturisti, che vogliono distruggere qualsiasi tipo di medicina”. Per certi versi i temi – sovrappopolazione, classismo feroce, speculazione sanitaria, ‘naturismo’ – sono attuali, ma non è questo il punto. Il punto è il titolo. The Bladerunner. Il rapporto con il Blade Runner di Ridley Scott, film dalla bellezza enigmatica, del 1982, è evidente; la trama, però, è fuorviante, c’entra niente.

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Rewind. Nel 1976, dopo aver vagabondato tra Tangeri, Parigi e Londra, William S. Burroughs decide di ritornare definitivamente negli Usa. Oltre ai soliti amici, i beat, frequenta Andy Warhol, Lou Reed, John Giorno, Patty Smith. Nel 1978 organizzano una grande retrospettiva sul suo lavoro, a New York, con tributi di Allen Ginsberg, Patty Smith, Frank Zappa. Burroughs è l’autore di culto del Il pasto nudo e La scimmia sulla schiena. Ha letto il libro di Nourse, The Bladerunner. Ne vuole fare una sceneggiatura per un film elettrizzante. Che non si farà mai. Del romanzo di Nourse fa una versione alla Burroughs, involuta, viziata, sperimentale. Chiama il libro, Blade Runner (a movie) e lo stampa per Blue Wind Press. È il 1979. Quarant’anni fa.

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A questo punto della favola fa ingresso Hampton Fancher, regista, sceneggiatore. Che ha impalmato Sue Lyon, la Lolita di Kubrick – l’idillio durò, per la cronaca, due anni, lei era appena maggiorenne e Fancher fu il primo di una serie di mariti usa&getta, in tutto cinque. Insomma, Fancher è quello che ha voluto e scritto Blade Runner. Ha comprato i diritti del romanzo di Philip K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, ha cercato e ottenuto Ridley Scott. Solo che a Scott quel libro non convinceva – infatti lo modificò assai – e gli faceva schifo il titolo che gli proponevano, “Android” o “Dangerous Days”. Fancher aveva sul comodino una copia di Blade Runner, l’adattamento di Burroughs: l’idea di un tizio che corre sulle lame, con i relativo tsunami di simboli (pericolo, precarietà, ferita, feritoia, rischio, rapidità, fuga), lo affascinava. Getta l’idea a Scott. Il regista ci sta. Fa comprare i diritti per il romanzo di Nourse e per l’adattamento di Burroughs. Alla fine, gl’importa soltanto del titolo, Blade Runner. Il resto, sappiamo come si è evoluto: un capolavoro.

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Blade Runner è un film drastico, come la sua lavorazione. Scott litiga con Fancher, fa mettere sotto contratto David Peoples – nomination agli Oscar per la scrittura de Gli spietati per Clint Eastwood – che riscrive parte della sceneggiatura. Chissà che film sarebbe scaturito se avessero messo sotto Burroughs…

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Il Blade Runner di Burroughs è tradotto in Italia nel 1985, per la Stamperia della Frontiera (intro di Furio Belfiore, traduzione di Giulio Saponaro) e poi per Mimesis, nel 2012, a cura di Riccardo Gramantieri (sottotitolo: “La sceneggiatura inedita di un grande scrittore di fantascienza”). Tangerine Press, editore londinese, ha realizzato una “edizione per il quarantesimo anniversario” di Blade Runner: A Movie. In edizione limitata. La curatela e il ‘packaging’ del prodotto sono eccellenti, nonostante, va da sé, non è certo per questo Blade Runner che Burroughs passa alla storia. (d.b.)

 

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