08 Settembre 2019

Viaggio in Bretagna, tra angoli alla Simenon, il castello della Bella Addormentata, Mago Merlino, “la Maga” di Cortázar: è la poesia della realtà…

Mentre ripartiamo da St Malo in Bretagna per raggiungere Rennes, succedono un paio di cose. Sul marciapiede scorrono due ventenni, più amiche che sorelle, coi loro trolley rosso arancione. Sono le dieci e mezzo della prima domenica di agosto. Dove vanno le due francesi? Loro partono, sembra. Noi rientriamo in Italia. Noi: uno zio dickensiano, l’immancabile cugino, e come chiamare la zia? Sembra una creatura d Fitzgerald. Per tornare alla strada, ecco altre sensazioni da nervo ottico: dall’altra parte, di fronte, un’indiana al balcone scuote le sue scarpe da ginnastica. Una scolaresca bretone sfila sul marciapiede. Dalla porta accanto alla nostra escono tre ragazzi di colore e la fidanzata di uno di loro: ha i capelli raccolti come Minnie.

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Queste note visive vanno limitate in un reportage. Tendono troppo a dar voce alla realtà. Quando invece possiamo solo osservarla.

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Dieci giorni fa, alla partenza del nostro viaggio, ho afferrato un libro a casa dello zio e c’era un appunto da Thomas Mann. Diceva più o meno che la poesia ci commuove, ma la realtà ci commuove ancora di più perché parla la lingua della poesia senza rendersene conto.

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Allora indietro. Com’è iniziato il viaggio? Forse con una sosta dopo Chambery.

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La prima cosa che mi colpisce, smontando dall’auto, sono i bambini e le bambine nelle aree di sosta. Con una densità media per famiglia di due figli per coppia, i fanciulli francesi ti avvolgono e ti fanno ricordare un’Italia diversa, magari quella degli anni Novanta. Quando ero bambino mi sembrava di vederne molti, di coetanei. Oggi se mi guardo attorno in Italia faccio difficoltà a trovare quei piccoli scoiattoli di cinque anni.

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Andrea Bianchi e lo “zio dickensiano”

Anzi: in Francia di bambini ce ne sono anche di più, tre per coppia.

Un manicomio per chi venga dall’Italia. Sono loro, le creature sotto i nove anni, a dare un ritmo più flemmatico al francese quando sta in coda alla cassa? Non lo so, mi sembrano quieti anche i genitori, come prima cosa. In attesa di essere smentito, lo segno qui.

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Quando vi fermate nei centri medio-piccoli in Francia, avete una sensazione sempre uguale, casolari a destra e sinistra. Qui la tradizione è la casa monofamiliare, piccola: tutto tranne gli appartamenti, che invece sono più recenti e stanno prendendo il posto dei villini anche in Bretagna, anche nei centri lontani dalle metropoli.

Ma la storia continua. Se trovate tutti uguali i borghi francesi sotto i cinquantamila abitanti questo avviene perché il passaggio di Napoleone ha steso un velo di uniformità, di ordine urbano che invece in Italia è irrecuperabile, talmente ridicola fu la proposta del fascismo di far imparare al ‘popolo’ che via Roma passa sempre per il centro.

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Comunque. Un posto come Bourges, gettato a metà nella Loira, ti offre angoli alla Simenon. Una piazzola con la fontana. Trent’anni fa, i miei zii passarono qui poco dopo sposati. Ora l’albergo ‘alla Simenon’ è un Best Western. È come se lo ricordano gli zii: solo uno scudo verdone è agganciato in alto a destra dell’edificio e questa scritta campale ‘Best Western’ non intacca l’atmosfera.

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Finché poi non arrivi a Tours, osservi la Loira ampia il doppio del Tevere e del Po. Tours rigurgita universitari anche ai primi di agosto.

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Ma insomma.

Si dorme in piazza Alfred Mame, il cartello della via lo indica come ‘ingegnere e filantropo’. Le guide locali invece lo celebrano come colui che nel 1830 ebbe fegato per stampare Scene della vita privata di un certo Balzac. Il quale era nato a Tours, appunto.

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Mi piace questa definizione di un mercante e stampatore di libri come di ‘filantropo’. Segno di civiltà: modesto segno, ma sempre di civiltà.

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Sulla via per la Bretagna ci si ferma al castello di Villandry – la zona è notevole perché già nel Seicento dava agio a Perrault per ambientarvi la favola della Bella Addormentata. Nel castello di Villandry si trova tutto fuorché la favola. È tuttora abitato, la biblioteca è tenuta benissimo: otto o nove volumi di Donoso Cortes, il proprietario di inizio Novecento era uno spagnolo, Henry Cavallo, che doveva studiare medicina e lo fece per un bel po’ insieme al Nobel di quella materia del 1913. Poi Cavallo pianta tutto e con un’ereditiera americana compra Villandry. Organizza il giardino su tre ordini. Divisi dall’acqua, ci sono il giardino a tema amoroso, il labirinto e il giardino dei semplici dove tuttora si coltiva frutta e verdura in perfetto ordine.

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Quanto al tema amoroso: quattro riquadri illustrano, come carte da gioco, le varie possibilità della passione: tenera, sentimentale, intricata o folle. Il ritmo delle figure, osservato dall’alto, è in senso orario: cuori che diventano picche poi lame vorticanti.

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Tra i libri di Cavallo, un’edizione di metà Ottocento de La certosa di Parma che sul dorso porta scritto ‘De Stendhal’. Che mossa, segnare il nome d’arte di Henry Beyle con quel ‘de’ geografico. Fa capire subito che Stendhal è un nome di città. Era infatti il toponimo tedesco che aveva ispirato Beyle perché lì era nato il primo storico dell’arte antica, Winckelmann.

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Altra strambezza nel castello di Villandry. Il regalo di nozze fatto da un cinese giovane per la figlia del proprietario di casa a Villandry. Lei che aveva due anni, il cinese le fece il regalo perché così volevano le sue abitudini imperiali. Il cinese di passaggio in Francia andava negli Stati Uniti a studiare l’efficienza del sistema postale.

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Il labirinto al Castello di Villandry

La storia del cinese sembra l’appunto preso da un ospite allucinato, da un Rilke ubriaco a Dublino. Non ho inventato. È la poesia della realtà. Come le rondini fuori dal castello di Villandry. Si rincorrono, fanno la curva dell’infinito per arrivare al nido. Chi è il maschio? Chi la femmina? Non c’è etologo che tenga.

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Uscendo dai giardini di Villandry provo a immaginare chi sono i bravissimi giardinetti qui. I veri abitanti del luogo.

Non se ne vedono.

Solo una diciannovenne mi fissa coi suoi occhi a serramanico dall’alto del suo metro di gambe scoperte sotto una minigonna che è una campana di jeans.

Poi l’epifania: un giardiniere magro e allampanato esce e si guarda intorno spaesato. Lui abita la bellezza ma siccome è impacciato non lo sa.

Non arriva nemmeno a 24 anni.

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Sosta successiva, Usset. Base per la Bella di Perrault.

Vannes. Dopodiché si arriva a Vannes. Finalmente mare.

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Sotto la casa dove dormiamo c’è un ufficio di lavori interinali. Si chiama Crit, l’agenzia. Dall’altra parte della strada, un’agenzia pompe funebri.

Acrostico del nostro tempo.

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Da Vannes si raggiunge Carnac coi suoi pietroni piantati a filari dagli uomini primitivi milioni di anni fa.

Meglio distrarsi con pensieri allegri.

Al parcheggio, un vetturino su cavallo bretone, pelo lungo intorno allo zoccolo, legge il suo libretto ingiallito.

Alla cassa dei biglietti per andare a vedere da vicino i menhir, una bretone dagli occhi inglesi, grigi, continua a festeggiare la giornata nipplefree. Ve la immaginate in Italia una ragazza che lavori in un museo e sotto la maglietta rimanga libera come vuole?

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Da Vannes si raggiunge Quiberon. Un promontorio a cui si accede passando per una striscia di terra lunga 15 km.

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A nord la cote sauvage coi deltaplani a banana. Poi sfila dal mio finestrino una rocca con 69 martiri della resistenza.

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Quiberon è puro medioevo. Qui i re sono i pescatori di aragoste che bevono Calvados caldo dopo mangiato, alle due. Le strade hanno nomi sa ciclo bretone:

Rue de Lutines. Avenue de Merlin.

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Chissà se esiste una storia di Maigret ambientato qui, tra Via dei Folletti e Viale Merlino.

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Proseguendo verso la Bretagna di nord-ovest c’è Pont Aven che è stata la base di Gauguin. Un luogo infossato, chiuso da montagne verdeggianti e nuvole basse.

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A seguire, Concarneau che è il più grande porto commerciale della Bretagna del sud. Poco attrattivo, anche qui uffici per l’impiego diffusi con la stessa densità che da noi è prerogativa di parrucchieri e gelati.

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Poi, Quimper. Davanti a un corso d’acqua contornato da fiori, dalla parte opposta il teatro Ottocentesco che sembrerebbe un municipio o una scuola elementare. Segno di quanto a fondo vada il civismo urbano e razionale dei francesi. A fianco al teatro, il polo culturale Max Jacob. 

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Max Jacob fu tutto. Figlio di ebrei, omosessuale, pittore di serie B, poeta orfico e forse surrealista. Morì nei campi di sterminio ne 1944. Vedeva cigni e salici nel corso d’acqua di Quimper.

Dal cortile di casa sua lo sguardo afferra il pinnacolo della cattedrale nel quadrato del cielo.

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Locronan è separata da Quimper da una trentina di chilometri. Mercato dell’usato. Passeggiate in mezzo ai filari con un mare sul fondo che sa già d’Inghilterra. Di qui si arriva a Pointe du Raz che è il capo più occidentale della Francia affacciato sull’oceano.

Ragazze più o meno maggiorenni portano cofani di cozze. Noi le innaffiamo col sidro locale. Troppo dolce, meglio il sidro brut per la prossima volta.

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Fino a St Malo tutti i cartelli sono bilingui. Francese e bretone. Però il sentimento etnico andando a nord est si fa più sfumato. In ogni caso questo cartello, tutte le direzioni, in bretone è curioso: da bep lec.

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Mi immagino una piola, o una birreria, con questo nome: da bep lec.
Partendo da dove ci si sbronza, si può poi andare in tutte le direzioni.

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Poi ancora, i paesi che tagliano verso nord ovest la foresta di mago Merlino.
Uno di questi è Lampaul dove fu densa la presenza di Tedeschi durante l’occupazione.
Qui la Resistenza non ha niente di modaiolo.

I giardinieri del comune sono al lavoro, in tre per un recinto parrocchiale. Al piccolo museo locale due ventenni ci accolgono con fare sciolto. Fisso una foto di gruppo di bretone in costume. Sarà degli anni Venti. La bretone mostra un bel sorriso e fianchi larghi da fattrice.

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Cos’ha indotto gli abitanti della Bretagna di mezzo, a creare la leggenda di Caterina la Perduta? Una sorta di donna adultera finita malissimo al rogo perché seduceva e perdeva i villici vergini. Però ‘Perduta’ è stata chiamata lei, non i contadinotti. Le terre di Caterina la Perduta sono quelle della Bretagna di mezzo dove c’è anche il bosco di Merlino. Credo che sotto Caterina agisca il mito medievale di Melusina, una sorta di maga acquatica.

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C’è voluto uno stregone come Cortazar per creare un libro dove la donna è semplicemente, di nuovo, la Maga. Sono sicuro che se tra mille anni si ricorderanno ancora di noi, di cosa leggevamo, non sapranno però distinguere bene tra Cortazar e mago Merlino.

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Comunque, nel piccolo museo di Lampaul c’è anche una lettera dall’ospedale militare di Guillame Rostand, quello che portò in scena il Cyrano a fine Ottocento. Nella lettera Rostand informa i genitori di un ragazzo di Lampaul che il giovanotto si sta riprendendo.

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Avanti verso Guimillau. Altre eredi di Caterina la Perduta, dolcissime in tono di voce e posa: la guida che ci propone un tour per la chiesa e il recinto parrocchiale.

E soprattutto la figlia del pasticciere locale, castana, maglietta bianca plisettata, gli occhi per metà ambra per l’altra metà dorati.

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Saint-Thegonnec. Si fissa nel ricordo perché ci sono edere su palazzi bianchi con le imposte blu.

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Poi Roscoff sul mare, la città del blocco inglese contro Napoleone. Mentre si prende un caffè noto alle mie spalle una coppia italiana over 50. Lei legge Il posto delle fragole con un cocker in grembo che a volte nasconde il muso sotto il suo avambraccio.

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Finalmente St Malo, intasata come Venezia.

Davanti al promontorio, le due isole alle sei di sera sono già separate da terraferma dalla marea.

Su una delle due, non ho capito quale, è sepolto Chateaubriand.

C’è in bella vista una statua di Cartier che nel Cinquecento scopriva il Canada.

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Saint-Meloir-des-ondes si trova a est rispetto a St Malo. Andiamo a mangiare in un ristorante elegantino. Al piano di sopra c’è anche un albergo. Nel salottino d’ingresso due tappetti, tre poltroncine giallo crema e una libreria di legno di ciliegio: tra una vecchia edizione e un’altra c’è spazio anche per l’esuberante Alvaro Mutis e il suo Abdul Bashur.

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Qui viene da ridere.

Stacchi alla Sorrentino, anzi no anche lui se li sogna.

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Prima rientra un cameriere portando tra le braccia un cane a pelo lungo. Come su un campo di guerra.

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Dietro di me Choppino e Choppina. Lei col tatuaggio al braccio destro ha un passato misterioso (o dice lo zio dickensiano, un passato e basta). 

Choppina mangia come un leone senza darlo a notare, dev’essere australiana, fosse per lei darebbe un morso anche alle gambe del tavolo.

Tra Choppina e Choppino (lui sarà un amministratore delegato) si è ancora alla fase dell’amore quando se lui le chiede hai fame? l’unica risposta può essere Ma noo.

A un tratto Choppina, forse una ex nuotatrice, si alza perché vuole andare sul terrazzo erboso fuori dal ristorante. Choppino, rosso acceso, è preso all’amo.

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Ancora uno stacco per l tavolo dei quattro alla mia sinistra. C’è un’ereditiera col suo playboy; un altro accompagnatore con l’amica di lei, più caruccia. Quando si parlano, quando si abbracciano sul terrazzo, non si capisce chi sta con chi: situazione fluida.

Ridiamo tutti, sia noi che loro, a turni. Loro perché non riescono a capire il rapporto tra me e gli zii e il cugino. Noi invece ridiamo sotto i baffi perché facciamo finta tutti e quattro, per una volta, di osservare deliberatamente lo scenario in cerca di spunti per scrivere. Mio zio è il tipo che ambienterebbe tutta la scena in una locanda, io per pigrizia dico testualmente che il ristorante era di classe.

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L’armonia si incrina. Non so chi abbia provocato la lieve incrinatura in sala. L’ereditiera si gira, ostenta l’anello di zaffiro, si muove a suo agio nelle sue ciabatte di Ermes.

Fossimo nel Seicento partirebbe una sfida: uno dal nostro tavolo si alzerebbe per chiedere alla dama e ai suoi accompagnatori di cosa stanno ridendo, dicendo che vorremmo ridere insieme.

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Ora che rimetto a posto le note mi rendo conto che stiamo tornando dalla Bretagna in posti più civili. C’è connessione dati sulla Rennes-Parigi. La città dei corsari e di Chateaubriand, St Malo, sfuma nei ricordi irreali.

Andrea Bianchi

 *In copertina: veduta di Locranon, Bretagna

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