03 Aprile 2019

“Allora, disprezzatemi!”: tutti scrivono che l’ultimo libro di Bret Easton Ellis fa schifo. Per questo dobbiamo leggerlo

Prima di dire quello che penso ricalco ciò che pensano gli altri. Tra un paio di settimane Knopf manda in orbita White, l’ultimo libro di Bret Easton Ellis. Didascalia per illetterati. Bret Easton Ellis è lo scrittore statunitense più incisivo degli Ottanta-Novanta-Duemila. Esordio divinizzato dalla precocità – era il 1985, aveva 21 anni, era Less Than Zero – libro fondamentale – American Psycho, era il 1991, da cui il film con Christian Bale – imperiale creatività – Glamorama, Lunar Park– fino a dieci anni fa, quando BEE ha pubblicato Imperial Bedrooms, il romanzo di una stella cadente. Nel frattempo, si è messo a scrivere un po’ di sceneggiature per il cinema. Ora. White. L’ex scrittore prodigio, a 55 anni – li ha fatti lo scorso 7 marzo – pubblica una raccolta di saggi. Ottimo titolo, comunque.

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Anche l’abstract che cinge White è riuscito: “Dobbiamo essere tutti uguali, avere le stesse reazioni di fronte a qualsiasi opera d’arte, movimento, idea; se rifiuti di unirti al coro dell’approvazione pubblica sei etichettato come un razzista e un misogino. Questo è quello che accade alla cultura quando non si occupa più di arte”. Visione estetica preminente a quella etica – da bovini buonisti. Attacco frontale al ‘politicamente corretto’. Chi non la pensa così? Niente di nuovo sotto il sole letterario.

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Come di norma, alcune riviste hanno già avuto il libro di BEE e ne hanno scritto. Bookforum ha pubblicato un lungo pensiero di Andrea Long Chu, Psycho Analysis. Bret Easton Ellis rages against the decline of American culture. Nonostante il titolo, il pezzo è una roboante stroncatura. BEE, di fatto, è accusato di essere un piagnone, di fare arte sulla nostalgia degli anni Ottanta – luccicanti, cocainomani, devotamente ‘bianchi’ – di non avere più altro da dire (e chi decide cosa c’è da dire?). “La tesi di White è che la cultura americana è entrata in un periodo di declino irreversibile e che i social media e i millennial siano da biasimare. Questo è ridicolo, non perché non sia vero che i social media non abbiano cambiato il mondo in modo tremendo, ma perché si tratta di affermazioni radicate in una visione nostalgica e infantile del nostro tempo”, scrive il rabbioso recensore. “Come la sua eroina, Joan Didion, Ellis crede che lo stile sia tutto: peccato aver speso un libro per raccontare un concetto così misero”. Secondo l’arguto giornalista, Bret Easton Ellis si è trasformato in Patrick Bateman, cruento antieroe di American Psycho: “Entrambi ricchi. Entrambi ammiratori di Donald Trump. Entrambi spesso a cena in ristoranti di lusso. Entrambi frustrati”. D’altronde, lo rimarca BEE nel libro: “Bateman è la figura immaginaria che incarna la versione peggiore di me stesso, il mio incubo, qualcuno che odiavo ma che, nella sua impotente inquietudine, mi era prossimo, simpatico”.

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L’Observer, per la firma di Scott Indrisek, spara un titolo perentorio. A Few Good Reasons Not to Read Bret Easton Ellis’ New Book. Il gioco penso sia volutamente voluttuoso: negare una cosa ci fa venire voglia di appropriarcene. “Se i romanzi di Ellis hanno dato vita, parole sue, a un ‘nichilismo scintillante’, il suo libro di saggi è decisamente meno ambizioso: è nostalgia stantia… Che seccatura leggerlo. Ellis, come romanziere, ha dimostrato prodezza di genio e di ironia… questo, in fondo, è un ritratto dell’artista come martire di mezza età che spande le sue opinioni a una platea di idioti”.

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Alcune frasi di White sono interessanti, eccone un florilegio:

“I millennial devono tirarsi su le braghe e asciugarsi il moccolo”.

“Non ho ancora capito cosa possa recare offesa a qualcuno. Da quando sono diventato uno scrittore pubblico, a 21 anni, sono stato giudicato e recensito, e ho goduto, sempre, nell’essere amato e ignorato, adorato e disprezzato”.

“Da qualche parte, negli ultimi anni – non saprei dire esattamente quando – un vago fastidio, ma travolgente e irrazionale, ha incominciato a squarciarmi almeno una dozzina di volte al giorno”.

“Twitter ha stuzzicato il cattivo ragazzo che cova dentro di me”.

“I paladini della giustizia sociale non hanno senso estetico”.

“I sentimenti non sono fatti, le opinioni non sono crimini, l’estetica è l’unica cosa che conta. Il motivo per cui sono scrittore è che ho una estetica: le cose sono vere senza per forza essere fattuali o immutabili”.

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Ecco perché va letto White di BEE. BEE è lo scrittore terminale. Qualcosa di cannibale lo muove. BEE azzanna tutto, con sano istinto suicidale, s’accanisce al cadavere degli Usa, usa la giugulare che detona sangue per annaffiare il giardino di casa. Ritiene che l’immaginazione sia più radioattiva della realtà, che le parole stimolino istinti bestiali. Con spregiudicato vizio abbiamo distrutto tutto – abbiamo ucciso ciò che amiamo – abbiamo spaccato la nostra immagine sui vetri – non resta che ucciderci. O penare. BEE va letto perché è l’urlo assonnato sulla città massacrata. Ora, appunto, serve una letteratura nuova. Fitta di nostalgici peana – non ci appartiene, non appare. Oppure, che con avidità nuova – di foglia e di follia – racconti l’eredità deserta, l’ultimo uomo. (d.b.)

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