06 Ottobre 2018

“Bosie era una vera vipera, ma è stato un grande poeta… più grande di Wilde”: Silvio Raffo ha tradotto per la prima volta in Italia l’opera di Lord Alfred Douglas, l’amante del sommo Oscar

Che gran fortuna l’invenzione dell’opera a stampa! Ha consentito alla critica il privilegio del ripensamento. Chissà quanti grandi lavori – o almeno che noi col senno di poi avremmo giudicato tali – sono andati irrimediabilmente perduti nei meandri del tempo. Qualcuno ha giudicato in nostra vece cosa fosse degno di essere consegnato alla storia e cosa no. Al contrario, oggi, ci si può permettere di accumulare e accumulare, addirittura di lasciare ai posteri l’ardua sentenza. Esiste sempre più oramai la possibilità di un ripescaggio – la famosa gloria postuma. Certo questa è quella che Silvio Raffo, il più noto traduttore italiano di Emily Dickinson, vorrebbe dare a Lord Alfred Douglas, il poeta conosciuto ai più per essere stato, in gioventù, l’amante di Oscar Wilde.

Controverso personaggio Douglas – per gli amici Bosie –, affamato di vita e nevrastenico, autodistruttivo e a suo modo geniale, è rimasto terribilmente in ombra rispetto al suo ben più famoso compagno ed è stato mal visto a causa delle vicissitudini esistenziali e amorose che ha fatto patire a quest’ultimo. Ma l’incorreggibile Raffo, da sempre scopritore per il nostro paese di poeti stranieri da noi ingiustamente trascurati, ha deciso di confrontarsi con l’opera poetica dell’autore in questione e, anche questa volta, con L’amore che non osa. Poesie per Oscar Wilde (Elliot, 2018) è stato il primo a presentarlo ai lettori dello Stivale. Siamo andati a sentirlo, per farci raccontare l’intrigante vita di Bosie e soprattutto delle sue doti poetiche fino a oggi rimaste ignote al grande pubblico.

BosieLa vita di Lord Alfred Douglas è interessante perché si intreccia con quella di Wilde e, come dice lei nell’introduzione, in parte tende a ripetere, in una strana forma, le sventure capitate al suo maestro.

Dalla morte di Wilde, nel 1900, al 1945, quando anche Douglas passerà a miglior vita, trascorrono quarantacinque anni. Bosie, quindi, sopravvive per un lasso di tempo pari a quello vissuto da Wilde. In gioventù, è un ragazzino molto viziato. La madre, una donna che odia il marito, adora invece il suo bambino ed è con lui particolarmente permissiva. Il padre, John Sholto Douglas, è un uomo orrendo, volgare, però di grande potere. Il giovane è, insomma, molto coccolato, ma anche particolarmente dotato. Quello che nessuno mai mette in rilievo, raccontando sempre e solo del suo rapporto con l’autore di Il ritratto di Dorian Gray, è che questo ragazzo scrive molto bene. Del resto, Wilde dice di lui che è il più bravo dei giovani poeti inglesi del suo tempo, anche se questa considerazione può risultare influenzata dall’affetto. Abbiamo però, a riprova di questa tesi, anche il giudizio di Bernard Shaw che lo definirà il migliore compositore di sonetti dopo Shakespeare. Di fatto, Douglas aveva idee molto chiare sull’estetica, anche in contrasto con quelle di Wilde. Si prenda per esempio il suo saggio The Good Poetry, lì dove dice che non è né l’eccesso di estetica, né l’eccesso di ideologia che deve viziare la poesia. Sfortunatamente, noi lo ricordiamo solo per la vicenda del rapporto con Wilde e le cose brutte che ha fatto. In realtà è facile immaginare che da una simile relazione non potesse che scaturire una specie di esplosione atomica. Bosie ha la consapevolezza di essere un grande artista. Non è solo una viperetta. È una persona con una notevole cultura – che poi sia uno scioperato, che dissipa volentieri il patrimonio di famiglia, è tutto un altro paio di maniche. Non possiamo valutare il lavoro di uno scrittore pensando alla sua vita. Quello che è incredibile, infatti, è che la sua opera sia passata assolutamente sotto silenzio, perché gravava su di lui l’etichetta di serpente. L’opera di Lord Douglas è in realtà squisita e rivela grande conoscenza e perizia metrica, che nulla ha da invidiare a quella di poeti anche molto celebri. Venendo alla seconda parte della sua esistenza, è interessante sottolineare le strane coincidenze che ricordano le vicissitudini a cui era andato incontro il suo mentore. Penso per esempio al suo matrimonio con Olive Custance, una poetessa di tendenze chiaramente lesbiche, appartenente alla cerchia di Natalie Barney, quelle donne molto amazzoni che frequentavano Parigi all’inizio del ’900 come Colette e Gertrude Stein. Quello con Bosie è un matrimonio d’amicizia, di grande affinità, tra due che si volevano bene come un fratello e una sorella, similmente a quello di Wilde con sua moglie. Naturalmente, dal punto di vista sessuale, c’era molto poco. Da questa unione nascerà un figlio schizofrenico. Per Bosie si riproporrà la stessa situazione che era toccata a Wilde, a cui era stato proibito di vedere i suoi figli, perché ritenuto un personaggio moralmente riprovevole. Penso sia lecito affermare che il poeta inglese, nel periodo in cui è sopravvissuto a Wilde, non sia mai stato abbandonato dal suo fantasma e abbia vissuto come entro un inconscio desiderio di espiazione. In effetti, ne ha fatte proprio di tutti i colori per ricevere le punizioni a cui è stato sottoposto: ha sperperato tutto il patrimonio della madre, non ha concluso niente dal punto di vista letterario, si è fatto mettere in prigione per una balzana accusa a Churchill. Anche lui, però, come Wilde, ha incontrato degli angeli. Durante gli ultimi mesi, il più famoso autore irlandese era circondato da questi ragazzi che lo coccolavano e gli volevano molto bene. Il nostro Bosie trovò invece questa incredibile coppia, Sheila Colman e suo marito, che viveva in una fattoria, allevava animali e che si prendeva cura di lui alla stregua di figure genitoriali, o fratelli maggiori. Morirà infatti accudito da Sheila, che organizzerà anche premi ed eventi culturali in suo nome. Purtroppo i film che hanno girato su Wilde, in cui c’è anche Bosie, sono tutti concordi nell’inquadrarlo unicamente come il piccolo isterico viziato, carogna, che vuole vendicarsi dei soprusi del padre e usa Oscar come pedina per questa vendetta. Il che è vero, ma non esaurisce il discorso sull’uomo. È il letterato che non dobbiamo perdere di vista.

Veniamo ai suoi scritti. Le affinità e divergenze con l’opera di Wilde.

È chiaro che la propensione all’estetismo esiste in entrambi. Con la differenza che in Wilde traspare una punta di moralismo. In fondo Il ritratto di Dorian Gray è un romanzo edificante, con questo protagonista che non è per niente un vincente. L’opera, contrariamente a quel che si crede, non dimostra che l’estetica vince su tutto. C’è appunto, semmai, una forza morale diffusa. Pensiamo anche, per esempio, alle sue favole. Si tratta chiaramente di parabole del sacrificio, profonde testimonianze del Verbo di Gesù. Lui, in realtà, è un animo di una bontà infinita, tanto quanto superficiale e un po’ immaturo in questo suo narcisismo. I messaggi che vuole trasmettere con le sue opere sono: in quelle teatrali, la critica alla piccineria dell’aristocrazia e della borghesia; nelle favole i valori evangelici – come la rondine a cui il principe dice “toglimi gli occhi, tutto l’oro che ho e dallo ai poveri”. Lui ha questo, si direbbe, ingenuo e innato spirito evangelico. Le favole in particolare, contenutisticamente parlando, sono delle letture che si potrebbero fare in chiesa. Questa componente in Bosie non c’è. Affiora piuttosto il suo sdegno nei confronti dell’ipocrisia borghese e, sotto la cura formale ed estetica – a volte molto vittoriana –, c’è un materiale umano rovente. Una su tutte è la più famosa, Due amori: un capolavoro dal punto di vista formale e dai contenuti molto coraggiosi.

Quindi siamo al cospetto di un’opera ideologica in tal senso, un’opera che attacca la borghesia?

Certamente, però in un modo un po’ infantile, del tutto irrazionale, non programmatico, che procede per lampi di visione. Lui è un temperamento lirico, emotivo, instabile, a cui poco importava della politica. Ecco, è un piccolo principe sdegnato dalla meschinità del genere umano. Per quanto riguarda, poi, le sue osservazioni negative all’opera di Wilde, spiace dirlo, ma sono attendibili. Wilde è un grande prosatore, un ottimo drammaturgo, ma come poeta cade spesso nel retorico, nel compiaciuto e quello che dice Bosie, credo non mosso da spirito polemico, è giustificato.

Secondo lei si dà l’opera di Wilde senza Bosie e, viceversa, l’opera di Bosie senza Wilde?

L’opera di Wilde senza Bosie direi di sì. Quando lo conobbe, il romanziere ritrovò l’incarnazione di qualcosa che lui aveva già scritto e descritto, la realizzazione terrena di un’idea platonica che aveva nella mente – in tal senso è stato molto fortunato. Per quel che riguarda l’opera di Bosie, si potrebbe dire che è l’incontro con Wilde a dargli consapevolezza di essere un poeta. La loro relazione, come ha intuito Auden, non era prima di tutto sessuale, ma basata su un legame estremamente sottile di rispecchiamenti letterari. Il tutto unito alla morbosità di Wilde che non aveva potuto esprimere prima la sua diversità e di Bosie che riflette il suo problema col padre in un’immagine paterna molto più buona e permissiva. Nello stesso tempo, per quest’ultimo, si crea un dissidio che nasce dalla consapevolezza di avere questo genio come amante e di non esserlo a sua volta – perché sicuramente non possiamo dire che il giovane sia un genio come il più maturo mentore. Nell’irlandese c’è una completezza, anche a livello di tipologie letterarie, che in Bosie è appena abbozzata. Pur essendo la sua opera molto esigua, tuttavia, non si deve cadere nel marchiano errore di liquidarlo come un pivello qualunque indegno anche di allacciargli le scarpe. La sua poesia Due amori è più bella di metà delle poesie di Wilde. Il capolavoro poetico di questo è La ballata del carcere di Reading, perché il più sofferto. Molto spesso le sue liriche però non hanno niente di travagliato. Sono piuttosto arabeschi, molto vittoriani, estremamente carichi e appesantiti da un retaggio di modelli classici bizantineggianti e citazioni latine. La ricerca di perfezione formale tradisce in parte il suo accademismo. Nell’amante è presente una sensibilità più spontanea.

Non fosse altro perché Bosie non vive di letteratura, contrariamente a Wilde che vi si approccia quindi in modo diverso. Forse, anche per tal motivo, dà più frutti nella prosa che in poesia, lì dove la capacità artigianale ha maggior peso.

Certo, se passassimo a dare i voti, alle favole di Wilde potremmo dare dieci, a Dorian Gray nove e alle poesie non più di sei.  Mentre a quelle di Bosie, in una dimensione molto più ristretta, io un sette pieno glielo darei. Comunque l’auspicio più importante che nutro verso questo mio libro, a parte rendere giustizia alle poesie del giovane inglese, è che apra al dibattito, fino a oggi inesistente, sulla comparazione tra le opere dei due autori. Non bisogna mai perdere di vista che loro avevano anche lavorato insieme, per esempio per la traduzione della Salomè che Wilde, non essendo del tutto soddisfatto della versione realizzata dall’amico, aveva poi voluto ritoccare. Bisogna riscoprire questo aspetto, ovvero il loro essere una coppia di artisti e non semplicemente una checca e un efebo come invece sembrano far capire tutti i vari film in merito alla liaison – compreso l’ultimo di Rupert Everett che, per quanto bellissimo, anch’esso ci restituisce una visione riduttiva di Bosie. Non viene nominata, infatti, neppure una volta la sua attività poetica. In generale, dai vari biografi, questa viene considerata come un vezzo di nessuna importanza.

Si menzionava la sua attività di poeta nel film Wilde, con Stephen Fry e Jude Law nel ruolo di Bosie. Nella scena del processo viene letta la poesia Due amori.

Sì, ma non si intende che questa attività va anche oltre e, comunque, lo spettatore non è indotto a chiedersi se ne abbia scritte altre.

A questo punto le vorrei domandare delle fortune e sfortune dell’opera di Lord Alfred Douglas, nel mondo e in Italia.

Le fortune sono state scarse. Il motivo è uno: tutti odiano Bosie. Purtroppo, la limpidezza del giudizio è una qualità molto rara nel genere umano. Il saper prescindere dalle colpe di una persona non è facile e i wildiani sono tantissimi. Quando si fa il nome di Douglas, l’espressione è di schifo ed è il motivo per cui quasi nessuno ha letto le sue poesie. Ma questo non è un atteggiamento critico valido. La vita di un autore non dovrebbe sopravanzare l’opera, anche se purtroppo questo capita. Le mie ricerche, a ogni modo, rilevano genericamente la più assoluta mancanza di studi critici su di lui. In Italia, poi, non c’è stato praticamente alcun interesse. Nel resto del mondo esiste qualcosa, in Inghilterra specialmente, ma non si va molto a fondo neppure lì. Eppure Bosie, che vive su di sé molto di quel clima che influenzerà anche Wilde, è più abile del suo maestro che lo traspone con eccessiva razionalità e compostezza accademica, mentre lui si lascia trasportare dai suoi deliri e fantasmi in modo più suggestivo. È più macabro e delirante, più squisitamente decadente di Wilde, almeno in poesia.

Matteo Fais

 

Gruppo MAGOG