04 Novembre 2019

Distrutto un muro, se ne innalzò un altro. Berlino 1989: i giorni che cambiarono l’Occidente (previsti da Vasilij Grossman, il martire della scrittura contro le muraglie dell’ideologia)

Il muro è un paradosso, prima che un simbolo. Un muro non può ‘murare’ l’inarginabile, cioè l’uomo, la cui natura profonda anela alla libertà. Non è il caso di fare distinzioni tra muri e ponti: l’uomo non è per forza un ‘costruttore di ponti’, ma se c’è un abisso, salta – piuttosto, si fa inghiottire dall’abisso.

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Il muro di Berlino, anzi tutto, sancì l’anelito a superarlo: per natura, l’uomo è colui che s’ingegna per superare un ostacolo di cui non è responsabile.

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Naturalmente, il muro fisico non assolve pienamente alla natura di muro: non è alto né lungo a sufficienza per limitare la possibilità di superarlo. Il muro è un simbolo, l’altare su cui lo Stato compie il rito della propria ideologia.

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Un muro non è mai fisico: il muro più potente costruito di recente, senza esercizio di cemento, è quello tra Occidente ed Islam. È stato costruito l’11 settembre del 2001, per distruzione. La distruzione di due palazzi, a New York, per eccesso simbolico, ha innalzato un muro, che dura tutt’ora. In quel caso, non si distrugge, nell’assalto, un ostacolo orizzontale, ma, per crimine imprevisto, un edificio verticale, abitato. In ogni caso, l’epoca recente nasce dalla distruzione di un muro orizzontale, nel 1989, e di palazzi verticali, nel 2001 – meridiano ed equatore dell’oggi.

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Un muro, in sostanza, è una idea: un muro infrangibile, che accerchia un destino. Un muro insuperabile. Quando l’idea ha la meglio sull’uomo, il muro è dappertutto, gli uomini diventano una muraglia. A Berlino Est e nell’orbita comunista, il vero muro non era quello fisico, ma quello ideologico. Per una idea che si ritiene giusta si è disposti a tutto: gli uomini si trasformarono in mura. Un muro per gli altri – mettendo barriere davanti alle proprie emozioni, al proprio connaturato anelito alla libertà, alla devianza, all’urlo – e un muro per se stessi – non c’è censura più grande e grave dell’autocensura, racconta chi è vissuto nella clausura di una ideologia imposta, tra le mura.

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Il muro, in sostanza, si esplicita attraverso il sistema di polizia – con la scusa della ‘sicurezza’, si mantengono i cittadini nell’insicuro, in un continuo stato di colpa (chi è davvero innocente?). Attraverso lo spionaggio, il segreto: in un paese di muri, c’è sempre qualcosa da nascondere, qualcuno ha sempre un peccato da nascondere. (Anche il monastero è un muro: ci si reclude per rendere facile a Dio l’accesso in noi; in quel caso, essere murati in una cella è esecuzione della più alta libertà). Lo strumento privilegiato è la delazione: “L’atto di denunciare segretamente, per lucro, per servilismo o per altri motivi, l’autore di un reato o di altra azione soggetta a pena o sanzione, o di fornire comunque informazioni che consentano d’identificarlo”. Vivere è un vagare tra i muri: i sorrisi sono muraglie. Chi mi parla con affettato rispetto potrebbe tramare e ‘vendermi’ a chi potrebbe trarre guadagno dal mio arresto.

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Anche i fiumi, l’emblema del divenire, della libertà, possono diventare muri: “Una prigione nella prigione, questo corridoio di terra oggi compreso tra i land della Bassa Sassonia e il Brandeburgo: era un’area off limits, ritagliata entro i cinque chilometri dall’argine, protetta da check point, che seguiva le anse dell’Elba da Neauhaus a valle in direzione Amburgo, fino a Stresow (rasa interamente al suolo dal regime nel 1974) a monte del fiume, arrivando da Dresda; all’interno non c’erano scuole superiori, i viveri arrivavano una volta in settimana, il paesaggio liberato dai boschi, vietate le coltivazioni oltre il metro d’altezza, le poche strade interrotte da curve ad angolo retto come nelle zone militari. Non erano ammessi ospiti oltre il primo grado di parentela. Britta era una bambina nel borgo di Strachau quando nel 1974 il regime ha costruito il Muro sull’argine, a una decina di metri da casa sua; era abituata ad affacciarsi su quello sbalzo e fantasticare: ‘Per me di là non c’era l’altra Germania, ma il mondo’, dice”, scrive Marzio G. Mian, nel suo reportage lungo l’Elba, pubblicato su GQ. “Le chiamavano disinfestazioni”, dice. “Sono avvenute in tre ondate, nel ’52, nel ’61 e nel ’75, solo qui nel comune di Neuhaus hanno riguardato 23 villaggi, 63 famiglie, 248 persone. Arrivavano alle cinque del mattino, davano 20 ore di tempo per caricare tutto su un van, non veniva loro annunciata la destinazione ed era vietato parlare con chiunque. La fattoria e gli animali passavano alla collettività, al kombinat locale. Il villaggio era spesso raso al suolo, come accaduto qui a Vockfey dove hanno distrutto 15 fattorie in un solo giorno, perché questo tratto dei mille chilometri di Cortina di Ferro tedesca, che andava da Lubecca alla Cecoslovacchia, era particolarmente sensibile, molti tentavano la fuga attraversando il fiume, 49 sono morti annegati o sparati dai vopos”. Il reportage di Marzio G. Mian, in forma di documentario, è tra i documenti che costellano il palinsesto Sky dedicato a “Berlino89”, da oggi fino a sabato 9 novembre (tra le cose belle, proprio il 9 novembre, alle 21.15, su Sky Arte, Berlino Est Ovest, “un documentario in due parti con Manuel Agnelli”).

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Quando s’inaugura la costruzione del muro di Berlino, nel 1961, i servizi segreti russi si accaniscono contro lo scrittore Vasilij Grossman. “Nel 1961 ufficiali del KGB si presentarono a casa mia con un mandato di perquisizione e requisirono varie copie e abbozzi del manoscritto di Vita e destino. Simultaneamente, vennero sequestrate anche le copie consegnate a Znamja e Novyj Mir. Questo segnò la fine delle mie speranze di veder uscire un lavoro, che mi aveva richiesto dieci anni di sforzi”, così il grande scrittore in una lettera a Nikita Chruščëv, chiedendo che almeno il manoscritto del suo romanzo gli venga restituito. Naturalmente, la sua richiesta cadrà, ammorbata dall’indifferenza. Grossman è lo scrittore che in Vita e destino e ancor più in un altro libro, Tutto scorre… (entrambi in catalogo Adelphi), ha svelato il sistema comunista della delazione. “Dov’è mai la speranza della Russia, se il più grande dei suoi riformatori, Lenin, non ha distrutto, ma rafforzato l’unione tra lo sviluppo russo e la non-libertà, il servaggio? Dov’è il tempo dell’anima russa libera e mana? Quando mai verrà quel giorno?”. Grossman riconosce il carisma della Rivoluzione nell’incrocio, mostruoso, tra i filosofi tedeschi (Hegel e Marx), e l’atavico spirito russo (“Nel carattere di Stalin, in cui l’asiatico si fondeva con il marxista europeo, si esprimeva il carattere del sistema statale sovietico”): forse per questo Tutto scorre… viene stampato per la prima volta a Francoforte, nel 1970. Grossman, però, è scrittore, va oltre la denuncia, ha uno sguardo che sgorga nella luce, nelle pagine finali, bellissime, del libro: “Costoro avevano tradito, diffamato, rinnegato perché altrimenti non sopravvivevi, eri perduto; e tuttavia erano pur sempre uomini… Quegli uomini non volevano il male di nessuno, eppure avevano fatto del male durante la loro vita. Eppure quegli uomini erano pur sempre uomini. E – cosa fantastica, meravigliosa – lo volessero o no, essi avevano impedito che la libertà morisse; perfino i più terribili tra loro l’avevano custodita nelle loro orrende, deformi, ma pur sempre umane anime”. Vedere l’uomo oltre l’idea e l’atto è lo scandalo dello scrittore.

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I muri hanno altra nozione che il cemento. Mia cugina Simona era a Berlino a strappare pezzi di muro. Divenne una moda: i ragazzi occidentali alcolizzati dal consumismo picconavano il muro, facevano notte, de-ideologizzati, senza più idee (attenzione: non avere idee è un muro peggiore che essere murati in una sola idea). Portò a casa, nella periferia torinese, un tozzo di Muro di Berlino. Ne regalava dei brani, come fosse un pezzo del Muro del Pianto – solo che quel tratto residuo del Tempio non viene buttato giù, ma conservato con la preghiera in moto, non si abbatte, tutto è crollato tranne quel tratto, dove vi si inseriscono, nelle fessure, fogli con le intenzioni. Neppure un mese dopo, in circostanze tragiche, come si dice, morì mio padre. Improvvisamente, la nostra famiglia fu attraversata da un muro. Io restai dall’altra parte.

Gruppo MAGOG