14 Gennaio 2020

“Ciò che ti smarrisce orienta verso Dio”. Altro che testo sul celibato dei preti… Ecco una sfilza di autentici apocrifi di Benedetto XVI

Benedetto XVI dice che l’uomo sceglie Dio sposandosi a lui, spostandosi dal mondo, restando celibe per aderire al sacerdozio. Apriti cielo. Forse l’ha detto, forse no. Chi si dedica a Dio dona tutto ciò che ha: il corpo. Fa di sé, figura tra uomo e Dio, sfigurato, tanto uomo da darsi a Dio, uno sposalizio. Ma non è questo il punto: questa è cronaca. Mi preme questo: penso che lo scrittore, l’ultimo degli uomini, il grado zero, l’uomo-uomo, debba scavare nella polpa di Dio – quindi, della Storia. E nel cuore di chi detiene la parola rivolta a Dio. Su questo, nel 2014, ho scritto un romanzo, “Rinuncio” (Guaraldi). La prima parte del libro è costituita da una serie di lettere, pagine di diario, aforismi di Benedetto XVI. Quelli che ricalco, in particolare, sono introdotti così: “Questi pensieri sono stati scritti, a matita, nelle pagine di un libro di Saint-John Perse, “Exil”, tra i rari volumi che Benedetto XVI ha voluto nella sua cella. Sembrano costituire un insieme di pensieri congiunti dalla stessa ispirazione, raccolti da un titolo, “In estremo”. Benedetto XVI ha cominciato a scrivere i pensieri quando era Papa, così per lo meno dimostra la calligrafia: rotonda, netta e comprensibile nel periodo papale, devia bruscamente, all’improvviso. La grafia diventa più torbida e roca dopo la rinuncia”. Naturalmente, sono apocrifi. Il libro fu consegnato all’‘emerito’ da Piergiorgio Odifreddi – che non conoscevo – un anno fa. Che gli sia piaciuto o meno rientra nel chiostro del narcisismo da cui non mi sottraggo. (d.b.)

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Né milizia, né mestizia o malizia – martirio nella preghiera, reclamare l’osso ultimo, il sopravvissuto, audacia nel soffrire.

Dio è raccoglimento, umiltà. “Inutile” è Gesù sulla Croce, è il niente a cui dedicare la vita.

Si nasce per servire, per essere ultimi: chi non ha pace, chi è frustrato, chi è infelice deve comandare.

Solo quando Gesù dubita trova Dio.

Non si è guida, si è scelti a guidare – senza desiderarlo si conduce al deserto. L’unico condurre è presso la morte.

Usare la carità come un’arma – amare fino a uccidere.

Il cristiano non è felice – cioè, esaltato – vaga nel mondo senza desideri. Deve toccare il fondo, sfondare l’abisso, amarlo.

Disutile, il cristiano non ha personalità. Vivere è il suo solo dovere, valicare la vita senza seminare il male.

L’ingenuità è la genuina natura di Dio.

Cedersi è il carisma del cristiano.

Sempre si è soli – l’obbedienza è una necessaria menzogna.

Gesù dirige verso il caos, non c’è direzione ma vagabondaggio, né destinazione se non la morte. Ordine, via e viatico per una vita celeste sono un possesso degli antichi dèi, umani; il volto di Cristo è inumano.

Non esiste ordine, ma imprevisto, come l’avvento di Gesù non accade mai all’ora stabilita. L’ordine è la follia degli uomini ordinari che non sanno riconoscere lo straordinario.

Ogni uomo è un ponte nel nulla – nessun mortale porta a Dio.

Piuttosto, perseverare in una preghiera che è attesa. Prepararsi all’incontro con Dio lasciando ai superstiziosi le giaculatorie, la lista languida dei rosari. Abitare il silenzio, come una foresta dove gli alberi sembrano lupi. Eventualmente, far sorgere una parola per Dio sul ciglio della morte. Mai sentirsi degni di Lui.

La carne è il centro del cristianesimo: per questo Dio se ne è ornato. In questo modo, ha compiuto il riscatto della carne, facendone luogo di purezza e non di disprezzo o vergogna. Per questo il cristiano affronta la carne, non la denigra. Si accontenta di saggiare l’anima, ma salva la carne, di cui bisogna impregnarsi. Toccarla fino a credere che sia immortale.

E se il demonio fosse nell’ostinato distacco dalla terra, dai mortali? Pensare di poter fare a meno dell’uomo e della morte è il male.

Le stimmate sono gli occhi di Dio – i chiodi diventeranno rose.

Senza amore non conoscerò l’Amore.

Accendi i sensi – non avvilirli – avventati sul mondo violentalo: altrimenti come potrai riconoscere ciò che è da amare?

Ciò che ti smarrisce orienta verso Dio.

Cosa è stato di tutto quell’amare? Non ci è di sostegno – è perso. Per fortuna: ci porta a desiderare Dio.

I martiri, i penitenti, gli eccezionali – non imitarli. Non vivere da santo, da ispirato, perché Dio non parla con te. Diventa un vuoto che rassicura gli uomini. Farsi fuori, per far fare a Dio.

Costruire – perché si abbia la percezione che è inutile. L’opera si fonda sul tormento, e sulla presunzione che il bene sia una certezza. Accontentati di vedere nella pietra deposta da Dio la cattedrale.

Dio è presso di te, ti è addosso, ti indossa – perché tu pensi che sia lontanissimo.

La Croce non è un peso, ma una liberazione, un’aquila. Ogni uomo vuole la morte, cioè liberarsi dei propri beni, della propria abitudinaria personalità, abolirsi. La Croce non è una spada per vendicarsi della cattiva sorte, bisogna puntarla contro se stessi, uccidersi.

La lancia che ha trafitto Cristo in Croce si è trasformata in ciliegio: i bambini lo accerchiano ed è il più timoroso a scalare l’albero. Come una pioggia di stelle, il bimbo fa cadere sulla testa e sul petto degli amici i frutti. Chissà quale sapienza apprendono ingurgitando quelle ciliegie. Non so se il loro viso si contorca in ghigno, oppure gli occhi conoscano la serenità dei corvi.

Sentiti sempre come se Gesù ti avesse abbandonato – per farti ritrovare.

Ho parenti nei boschi, la mia carta d’identità è la corteccia di una betulla e ho amato il ferro più dell’ostia – nel rosario sono inanellati occhi di lupo.

Accetta la sconfitta come una grazia – sfida l’abiura abitandola.

Rifiutare ogni cosa – soprattutto, chi mi ritiene buono, chi mi onora con opinioni di santità, chi mi crede un genio, chi sperpera casuali complimenti. Essere inamovibile e indifferente. Come l’albero dai rami sempre spalancati: accoglie falchi e corvi, accettando la morte. Come l’acqua. Comunque, condurre gli altri a convincersi che sono malvagio – ritenersi indegni, indigenti, indigeni nel nulla.

Mi diede un filo d’erba, piantandolo spaccò il vaso, perforando perfino il cemento del balcone. Come il chiodo affonda nella carne non riuscii più a sradicare il vaso dal balcone. Con ciò, l’erba non smarrì la propria debolezza, senza la quale si tramuterebbe non in albero, ma in uomo.

La preparazione che si impartisce agli uomini di Chiesa è per renderli adatti al mondo. I sacerdoti sono le creature più esperte del mondo, amministrano, mettono ordine tra le emozioni dei propri parrocchiani, le curano e annaffiano di senso mentre dovrebbero annientarle. Sono esperti di denaro più che di Dio e parlano della resurrezione come di un pattuito stipendio. La vita della Chiesa è diventata una devastante inversione dei termini: si parla di “preghiera” per dire “mercanteggio”, il deserto è un’aula di ricevimento, il confessionale la vorace finestra del guardone, Dio è l’uomo, il fedele che occorre compiacere, la povertà è sostituita dal bisogno di successo. L’uomo di Chiesa deve conquistare anime da porgere in pasto a Dio, il carnefice. Il sacerdote così è come il possidente che compra e rivende schiavi, come un allevatore che con gioia e tenacia conduce al trotto le bestie verso il macello.

Nessuna parola può superare la verità di un corpo – né sovrapporsi ad esso cancellandone il ricordo. Questo rende autentico l’invecchiare, terribile la morte, remoto Dio. Il verbo tenta di incardinarsi alla carne, vorrebbe incaricarsene, per essere vivo. Ma sono le parole ad aver scandito la morte, legato i corpi al deperimento. Se non parlassimo, moriremmo senza sapere di morire, di essere vecchi. La carne non è un alfabeto, e Dio non parla – tocca – brucia – buca.

Non accettare alcun ruolo di dominio, ancor meno se “a fin di bene”, perché il potere non ammette altro fine che il male e corrompe chiunque lo abita – soprattutto i religiosi.

Non appena pronunci una cosa, dici un volto, ne dichiari la sconfitta.

L’incarnazione è un incantesimo.

Gruppo MAGOG