14 Dicembre 2018

Basta con i poeti rinchiusi nella torre d’avorio, esiliati dalla Storia! I poeti sono i Guerrieri della Bellezza: dialogo con i protagonisti di “Poetry and Discovery” (meglio dei gilet gialli)

Il tema è capitale. Che rapporto c’è, oggi, tra il poeta e la Storia, tra il poeta e il proprio tempo? Di solito, oggi, il poeta è servo dell’era, non serve a nulla, è martirizzato dall’indifferenza, non si ribella, accetta, sperando, tra qualche lustro, in una pubblicazione – quasi sempre inascoltata – per l’editore di punta. In direzione contraria, invece, agisce la falange di lirici radunati da Tomaso Kemeny, ungherese di nascita, milanese d’adozione, da 80 anni – tanti ne compie, quest’anno – Lancillotto del bello. “Oggi, come sempre, ci vuole del coraggio per tentare di vivere all’altezza dei propri sogni. Forse il coraggio non è che l’arte di avere paura senza farlo vedere”, scrive il poeta nel brano d’esordio di uno dei libri più curiosi e vivi di questa mortifera e mortificante stagione letteraria, Affari poetici. I doni della poesia, edito da Effigie. Il libro, infatti, non è semplicemente un libro ma un ‘atto’, cioè il repertorio di poesie lette nel dicembre di due anni fa, con gesto provocatorio, provocante e dunque poetico, “sulla scalinata della Borsa di Milano”. Oltre ai testi-testimonianza di Kemeny ci sono quelli di Giuseppe Conte e di Roberto Floreani, di Roberto Barbolini, di Gabriella Galzio, di Cinzia Demi, di Angelo Tonelli, di Rosita Copioli e di Quirino Principe, tra i tanti. Non è un gesto velleitario, tutt’altro, è più profondo e proficuo degli incendi dei ‘gilet gialli’, è una rivolta del bello contro l’osceno. “Oggi nel contesto di una civiltà sull’orlo indecoroso del tramonto, la poesia come tale risuona come rivoluzionaria nel riuscire a risvegliare le energie del pensiero, l’immaginazione e l’entusiasmo esistenziale”, scrive ancora Kemeny. Al suo fianco, come teorica e poeta dell’avventura “Poetry and Discovery”, che s’innalza intorno a due norme capitali (“La nostra civiltà ha smarrito la dritta via innalzando il denaro a valore assoluto” e “La poesia valida diventa azione per la riconquista dei valori”), Paola Pennecchi, cocuratrice di questi Affari poetici. Mi è parsa cosa buona&giusta interpellarla. (d.b.)

Paola Pennacchi
Lei è Paola Pennecchi

La poesia come ‘azione’, come forza ‘politica’ che scardina le consuetudini civili. Mi pare che l’iniziativa “Poetry and Discovery” vada in contromano rispetto alla recente tradizione lirica italiana, per lo più ‘da camera’, con poeti disinteressati – vantandosene – del mondo, reclusi nella torre di cristallo: è così? Insomma: come nate, con quale intento, perché quel nome?

Poetry and Discovery nasce dal mitomodernismo apparso sulle scene nel 1980. È la seconda generazione di poeti che desidera che la poesia viva ovunque. Ci siamo voluti dare un nome che rivelasse un orizzonte semantico di dinamismo, di scoperta dell’altro da sé, inteso sia come luogo sia come persona. Noi non temiamo contaminazioni, non ci isoliamo in torri d’avorio. Crediamo nella forza del desiderio della poesia attraverso cui è possibile risvegliare quella virtuale sete di bellezza che ci caratterizza come esseri umani.

L’azione poetica contro la Borsa di Milano, la Bellezza contro il Dio Denaro: non le pare un gesto velleitario? 

Con la crisi finanziaria del 2008, non solo è crollato un sistema finanziario, ma si è anche smascherato il fallimento del rapporto tra etica ed economia. La nostra prima azione del dicembre 2016 non era rivolta contro la Borsa. Abbiamo utilizzato la scalinata di Piazza Affari come teatro simbolico per diffondere, attraverso la pratica del dono poetico, un modello di comportamento che contrappone l’Homo Economicus a l’Homme Donneur (l’Uomo Donatore). Le nostre azioni mirano a risvegliare le coscienze, stimolando al cambiamento coloro che perseguono la via del consumismo e dell’effimero combattendo l’impero del Brutto al grido di “Fight for Beauty”.

Come si può fare ‘massa’, farsi ‘comunità’ se la poesia è il segno che registra una individualità assoluta, sonora, insondata?

Credo che oggi vi sia la necessità di una militanza poetica condivisa che si riassume nel verbo “esporsi”. Esporsi implica la responsabilità delle proprie parole, un concimare, a volte, laddove l’aridità è massima: le semine hanno esiti inaspettati. Occorre abbandonarsi al sogno restando vigili nel mondo, ascoltare la voce degli antenati, dei maestri, riportando l’etica al centro pulsante del nostro essere. I poeti che partecipano alle nostre azioni, unendo le loro voci creano una vibrazione, una potenza espressiva che nasce dalla coralità. Questo senso di “appartenenza” è molto importante e rende ogni evento un momento di riflessione ma anche di entusiasmo per tutti.

Affari poeticiQuali sono i ‘maestri’ che guidano la vostra azione e quali sono le tappe successive del vostro ‘fare’?

L’Italia è una meravigliosa costellazione poetica, basti pensare a Dante, Petrarca, Tasso,

Montale; i nostri maestri sono Ugo Foscolo, Gabriele D’Annunzio, Tommaso Marinetti, Dino Campana, Amelia Rosselli, Adriano Spatola, Antonio Porta. Future possibili azioni prevedono la presenza di Poetry and Discovery nelle scuole, nelle università, scardinando quella realtà che, salvo rare eccezioni, esclude la presenza di poeti viventi nelle aule. Azioni poetiche sempre nuove alla costante ricerca di bellezza anche laddove è più nascosta (piazze, stazioni ferroviarie e metropolitane, centri commerciali), i cosiddetti “non luoghi”. Negli ultimi due anni abbiamo realizzato azioni poetiche a Roma, Lerici, Milano, Como e Paestum.

Reclamo spesso una cosa semplice (più facile da osservare nei paesi anglofoni): il poeta che scriva, in versi, l’editoriale sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, che dica la sua, poetando, nel Tiggì della sera. Come mai abbiamo allontanato il poeta dalla Storia, abbiamo bandito la poesia dagli scaffali che contano delle librerie del Paese?

Condivido il suo sogno di un’irruzione poetica nei nostri mass media. Personalmente apprezzo la scrittura di Maurizio Maggiani sulla prima pagina del Secolo XIX di Genova ogni domenica. Quanto alla responsabilità dell’impoverimento della presenza della poesia, forse è il poeta che si è auto esiliato dalla Storia, rifiutando una realtà indubbiamente problematica, che invece necessiterebbe oggi più che mai di voci autorevoli che riportino l’etica, il senso di condivisione, la spiritualità, la ricerca della bellezza come antidoto all’infelicità dilagante.

*In copertina “William Burroughs hanging Alan Ansen”, Tangeri, 1961

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