22 Novembre 2020

“Caro Davide, sono stato tra le rovine di Xanadu e ho visto il tesoro del Prete Gianni: l’impronta del piede di Gesù, la testa di Adamo, la verga con cui Mosè ha spalancato il Mar Rosso…”

Caro Davide, scusa se non ti ho scritto prima. Sono stato in zone desertiche dove il telefonino non funzionava.

Una ventina di giorni fa mi trovavo a Zhenglan, nel distretto omonimo, nel nord della Cina. Ero lì per visitare il sito di Xanadu, che sorge sulla riva del fiume Shandian, in una immensa piana a una ventina di chilometri dal primo centro abitato. Xanadu fu costruita da Kubilai Khan, nipote di Gengis Khan, ai tempi di Marco Polo. Nel cuore della città, sorgeva la spettacolare reggia descritta da Marco Polo. Ora resta poco. Solo rovine. E banchi di souvenir.

A Zhenglan, mentre passeggiavo, sono passato per una delle tante piazze del mercato, dove ho assistito a una curiosa processione che mi ha rispedito con la mente indietro di secoli. Sopra a un carro dipinto erano state poste le sagome di cartone di un bambino e di una bambina. In un attimo le due immagini di carta hanno preso fuoco. Un fumo nero è salito al cielo.

La guida mi ha spiegato che in quel modo si celebra il matrimonio tra i figli e le figlie morti in giovane età.

«Credono che il fumo salga fino a loro, nell’aldilà, e che così essi vengano a sapere del matrimonio e da quel momento si considerino marito e moglie».

Non ho trattenuto un sorriso.

«E qual è lo scopo?» ho domandato. Anche se lo sapevo già: ricordavo di avere letto di qualcosa di simile nel Milione.

«Lo fanno per stabilire vincoli di parentela tra le famiglie dello sposo e della sposa».

«Un matrimonio di convenienza, insomma» ho scherzato.

«Anche, ma naturalmente è molto più di questo».

Lui non ha aggiunto altro e io non ho insistito.

Comunque, un attimo dopo mi giro e vedo avanzare un altro carro su cui sono state innalzate delle figure di cartone: uomini, donne e perfino di cavalli, anch’essi avvolti dalle fiamme.

«E quelli?» domando.

«I domestici e i cavalli inviati agli sposi per servirli».

Davvero divertente. L’immaginazione degli uomini non conosce confini.

«Più tardi, nella casa dello sposo, si terrà il banchetto nuziale al quale parteciperanno amici e parenti» mi ha spiegato la guida. «Parte del cibo verrà bruciata affinché salga in cielo. È una tradizione antichissima, risalente a tempi molto precedenti il dominio mongolo e il viaggio di Marco Polo».

A proposito di Marco Polo e di Venezia. Un mio amico mi ha raccontato cose terribili. A sentir lui, la città lagunare si sarebbe trasformata nella savana. Piazze e calli si sono svuotate, i turisti scomparsi. E piccioni e gabbiani vagano affamati in cerca di cibo. Sempre più spesso capita di assistere a scene raccapriccianti. Gabbiani incattivi dalla fame che inseguono poveri piccioni, li catturano e se li divorano sotto gli occhi indifferenti dei pochi passanti. Non so se capiti anche altrove.

Ma torniamo a noi. Qualche giorno dopo, dicevo, ho lasciato Zhenglan e un paio di settimane più tardi, al termine di un viaggio in treno di oltre quattromila chilometri pieno di strani incontri, ho fatto tappa a Yangjiaping, con l’intenzione di visitare ciò che rimane del grande monastero trappista. Avevo letto che il suo museo è tra i più ricchi al mondo quanto a reliquie cristiane. Incredibile il numero di oggetti esposti, ovviamente quasi tutti dei falsi (non così la pensano loro!). A quanto pare tutti appartenuti al misterioso Prete Gianni: è ciò che si legge all’ingresso, con dovizia di spiegazioni. Nella prima sala, il primo colpo di scena: su una roccia è impressa un’orma. La targa dice: «Impronta lasciata dal piede sinistro di Gesù Cristo il giorno dell’Ascensione».

Sono rimasto impietrito. Qui si esagera! ho pensato.

Su un tavolino poco più in là vi era un braccio mummificato. La guida, un cinesino coi capelli tinti di giallo, mi ha spiegato che si tratterebbe del braccio sinistro di Giovanni Crisostomo. Nientemeno!

Poco più in là c’era quel che resta della testa di Santo Stefano. E un catino contenente l’acqua con cui – a quanto pare – Nostro Signore lavò i piedi agli apostoli. Ma immagino che l’acqua non sia più quella.

E più in là: la verga di Aronne, quella con cui Mosè fece aprire le acque del Mar Rosso. La catena con cui Gesù fu condotto al supplizio; e un pezzo della colonna a cui fu legato durante la flagellazione. La frusta adoperata per colpirlo. Una ciocca dei suoi capelli. La testa di Adamo, ben conservata! Una zolla di terra raccolta in cima al monte Calvario. I quattro chiodi con cui il Signore fu trafitto e coi quali l’imperatore di Costantinopoli si fece fare le briglie per il cavallo che usava in battaglia. Il letto di Maria Vergine. Il battente della porta che varcò quando partì per Betlemme già incinta di Gesù. La corona di spine. Il macigno con cui venne sbarrato il sepolcro di Cristo e che le tre Marie trovarono ribaltato il giorno della Resurrezione. E altre simili meraviglie. Tutti doni del governo popolare cinese per farsi perdonare le scelleratezze compiute ai danni dei cristiani durante la dittatura di Mao e non solo.
Mi sono chinato su una specie di tela di lino di color nero, mezza muffita. Sull’etichetta ho letto: «Benda appartenuta al cieco cui il Signore restituì la vista presso la sorgente chiamata Natatorium Siloe».

Ma dài! mi sono detto.

Dietro una teca di vetro c’erano dei ramoscelli d’ulivo.

«Ramo dell’albero da cui fu ricavata la Croce» diceva l’etichetta attaccata a uno di essi. E accanto: «Ramo appartenuto all’albero di sambuco al quale si impiccò Giuda Iscariota».

Va be’, avrai capito. Mi fermo qui. È stato molto divertente, comunque.

Ti mando un saluto affettuoso,

Gianluca
*Sul testo copyright Gianluca Barbera

Gruppo MAGOG