07 Giugno 2019

Apocalisse Pink Floyd. 30 anni dopo il concerto devastante di Roger Waters & Co. a Venezia. Scaletta micidiale, città disintegrata. Io c’ero...

Sì, certo, sì che c’ero. Posizione privilegiata, ospiti (grazie al lavoro di mio padre, Ufficiale della Marina Militare) di una nave francese attraccata in Riva degli Schiavoni, più o meno all’altezza dell’Arsenale. Sì, certo, il miglior concerto della mia vita. Il più bello in assoluto. No, non quello che mi è piaciuto di più, ma di certo il più bello.

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È esattamente quello che scrive Alessandro Baricco in “Novecento” quando si sofferma sui quadri che all’improvviso cadono: “Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio”. Vecchio magari non proprio ma di certo non sono più quello di 30 anni fa. Anzi, del 15 luglio 1989.

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15 luglio 1989: i Pink Floyd a Venezia. La laguna sotto assedio dei fan. Alcune immagini

L’unica testimonianza “registrata” di quella cosa lì l’hanno fatta i Pitura Freska un paio d’anni più tardi, nel 1991, con l’album che li ha lanciati, “Na bruta banda”. Il “Day after” è tutto in queste strofe: “…è l’alba, Venessia è piena di gente / a tochi, coi tochi sui copi / tanta ma tanta mona / mese roste mese in coma”. Gente “a tochi”, praticamente distrutta dall’alcol e dai cannoni fumati. La “mona” non necessita di traduzione ma ce n’era a pacchi. Dalla stazione dei treni di Santa Lucia ne arrivava a fiumi, un’esondazione di figa, praticamente. E visto il mese – era luglio – vestite davvero poco. A 14 anni basta un niente per sentire ribollire gli ormoni: bionde, more, rosse, teenagers, MILF, singole, accompagnate, in gruppi, in canottiera, con i capelli legati, con un cappellino in testa…

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Il giorno dopo, chiamato a lavoro nella fioreria Ossena, la Riva degli Schiavoni pareva un campo di guerra. In una parola, un merdaio. Arsenale – Frezzeria, passando per la Laguna e non per l’interno. La sera prima avevo visto qualcosa. Avevo intuito qualcosa.  Dal parapetto della nave francese la mia vista si era allungata nella notte della “Festa del Redentore”. Un’idea, una suggestione, poco più. Tanta gente assiepata ovunque, sui lampioni, sui ponti, con le gambe a penzoloni sul mare.

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Non lo so se Gianni De Michelis si sia giocato la carriera politica quel 15 luglio del 1989. Forse sì, ma l’ha fatto sulle note dei Pink Floyd, mica cazzi e marmellata. Ok, Venessia sfasciata e messa alle corde, ma come fai a dimenticare i martelli di “The wall” o l’incipit strumentale di “Shine on you Crazy Diamond”? Se c’è un modo per farla finita, i Pink Floyd sono certamente una soluzione da tenere in seria considerazione.

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Duecentomila persone, trecentomila spettatori, forse di più, di certo non di meno. Impossibile contarle una a una, anche perché il concerto era gratis. Novanta minuti secchi, come una partita di calcio. Persa, in maniera dilettantistica, da chi lo ha organizzato: zero servizi d’ordine, zero transenne, zero assistenza, zero gabinetti pubblici. Hanno pisciato in laguna, ovviamente…

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“Fu un’operazione complessa, e costosa, non priva di difficoltà: migliaia di persone si posizionarono in ogni punto di Piazza San Marco e Riva degli Schiavoni sin dalle prime luci del mattino, qualcuno tentò persino l’impresa della scalata delle impalcature del Palazzo delle Prigioni (a quel tempo in restauro) per avere una vista migliore sull’incredibile palco galleggiante” scrive Stonemusic.it

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Il giorno dopo non si passava in Riva degli Schiavoni. Scoàsse ovunque, ovvero immondizia, di ogni genere. Bottiglie, assorbenti, cartacce, fazzoletti, magliette. Di ogni. Così per due giorni: solamente al terzo si sono messi a pulire. Riva degli Schiavoni ridotta a una strada a una corsia. Ai lati, rifiuti su rifiuti. Le foto sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo: la città piegata dai turisti del rock, la città rivenduta agli stranieri, più o meno come 200 anni prima, Napoleone, Johann Ludwig Josef von Cobenzl, il Trattato di Campoformio (1797). La fine di Venezia, la caduta dell’Antica Serenissima. Ieri gli Austriaci, oggi – 30 anni fa – gli immensi musicisti britannici. La libertà finisce sempre quando qualcuno da fuori ti mette gli occhi addosso…

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“Ad aprile di quell’anno la proposta dell’organizzatore Fran Tomasi, veneziano d’adozione, di tenere un concerto del gruppo su un pontone galleggiante, gratuito e trasmesso in diretta e in mondovisione dalla Rai, era stata accolta in maniera possibilista dal Comune e in particolare dall’allora assessore competente Nereo Laroni. L’operazione era complessa e costosa” ricorda quotidiano “Il Gazzettino”.

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L’abbiamo ballata tanto, “Pin floi”. Grande pezzo dei Pitura Freska, colonna sonora delle feste del liceo. Per molti fìoi, per molti giovani, la scoperta dei Pink Floyd è avvenuta grazie a Skardy e agli altri componenti del gruppo. Movenze da bradipo, è rag tesoro, ed è come danzare ad occhi chiusi mentre ti sale in testa lo spritz all’Aperol, la birra in lattina, il “Cointreau” (a fine anni Ottanta andava ancora, come il “Baileys”) e ondeggi come uno zombie pensando che fa figo e che magari ci scappa da far bene.

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Il dialetto unisce più dell’inglese quando sei ai primi anni delle scuole superiori.

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Non credo che i Pink Floyd avessero capito cosa stava accadendo. Il palco galleggiante li aveva distanziati dalla massa. Loro, lì, dovevano solo fare musica. E che musica. Scaletta micidiale: “Shine on you Crazy Diamond”, “Learning to Fly”, “Yet another movie”, “Round and around”, “Sorrow”, “The Dogs of War”, “On the Turning Away”, “Time”, “The Great Gig in the Sky”, “Wish you were here”, “Money”, “Another brick in the Wall Part 2”, “Comfortably numb”, “Run like hell”.

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Se non l’outfit, perlomeno nel cuore. Campoformio e Pink Floyd, a modo loro e con le opportune differenze, hanno listato a lutto Venezia in maniera inesorabile.

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Nel 1797 non c’ero, anche perché oggi avrei oltre 220 anni e di certo non sarei più in grado di scrivere. Nel 1989 però sì, e il giorno dopo il concerto l’aria che si respirava era quella di una città che aveva perso qualcosa. La sua verginità, probabilmente. E nonostante lo stupro quotidiano dei turisti stranieri. Non ci si abitua mai alla violenza, specie a quella silenziosa: una cartaccia gettata a terra, uno sputo, la schicchera alla cicca, la pipì sui muri, le infradito, il sudore, i calzini bianchi con le ciabatte o i sandali.

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Ho iniziato ad ascoltare i Pink Floyd dopo il concerto a Venezia. Nonostante il concerto a Venezia. E il 15 luglio del 2019 andrò in Riva degli Schiavoni a vedere se per caso ritrovo i miei anni. Li ho lasciato lì il 15 luglio del 1989, in mezzo a tanti altri sogni.

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“Siamo solo due anime sperdute che nuotano in una boccia per pesci / Anno dopo anno / Corriamo sullo stesso vecchio terreno. / E cosa abbiamo trovato?”. Io, quella mattina, solo scoàsse

Alessandro Carli

*In copertina: Los Angeles, 1968, “Pink Floyd in Pink”

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