21 Luglio 2018

Anna Achmatova e Marina Cvetaeva stringono un patto sopra la pozzanghera, nel 1941, in un tempo dispari. Una storia di gloria e di massacro

Difficile far coesistere caratteri così diversi. Marina Cvetaeva è una specie di Sfinge con la lingua in fiamme; Anna Achmatova ha la selvatica nobiltà di una Medea russa, donna capace di convertire i Minotauri in babbuini. Marina ordisce violenti rapporti epistolari, del tutto astratti, però – i più celebri con Rainer Maria Rilke e Boris Pasternak – perché la carne, irriducibilmente, distruggerebbe il carisma della relazione; Anna gli uomini li domina, s’inginocchiano al cospetto del suo divano, dove lei diva di porcellana presiede al rito della lirica, le leccano gli alluci.

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Marina può abitare i boschi, ma Anna dimora in una boscaglia di cristalli; a Marina tutto è sufficiente, per Anna l’insufficienza è un carisma.

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Tanto è ferina Marina, tanto è sovrumana Anna.

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Anna è di tre anni maggiore di Marina ed è a Parigi nel 1910, ritratta e amata da Modigliani; Marina è a Parigi, in perpetua fuga, nel 1925, quando i fasti sono spenti, e la consolazione è un manipolo di lettere d’incendio scambiate con Rilke e con Pasternak, appunto, il triangolo più vertiginoso della storia della letteratura mondiale.

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Anna rappresenta la resistenza al regime, il poeta che si erge in faccia al potere, lo annienta per nitore aristocratico. “L’Achmatova, come Pasternak, ha dimostrato di poter sopravvivere alla rivoluzione. Il loro esempio è una riprova del carattere permanente di certe ragioni, di certi moti profondi dell’umanità contemporanea che non coincidono meccanicamente con la linea tumultuosa, drammatica e ferina dei conflitti e dei clamorosi rivolgimenti politici” (Bruno Carnevali). Marina introduce la sconfitta nel cuore, nel 1939 torna in Russia, dopo un vagabondaggio che dura dal 1922: il 31 agosto del 1941 si impicca, in una piccola casa di Elabuga, nelle ultime lettere che abbiamo, devotamente raccolte da Serena Vitale, Marina implora “di essere assunta come lavapiatti nella mensa del Litfond”, implora per suo figlio Georgij, “non abbandonatelo mai”.

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Nonostante le lettere tempestose, Marina non lascia il marito, Sergej Efron, ufficiale dei ‘bianchi’. Sergej Efron fu giustiziato dal regime ‘rosso’ nell’ottobre del 1941. Anna sposa il poeta Nikolj Gumilëv, che gli fece una corte serrata e da cui ebbe il figlio Lev: si separarono. Arrestato nell’agosto del 1921 per azioni sovversive in contrasto alla Rivoluzione, Gumilëv fu fucilato.

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Cvetaeva
Marina Cvetaeva, di tre anni più giovane di Anna Achmatova, si impicca il 31 agosto del 1941

Anna e Marina, due tra le immense poetesse di ogni tempo, miracolosamente vissute nello stesso ciclo di anni, sono legate dalla morte. Il 31 agosto del 1921, esattamente vent’anni prima di uccidersi, la Cvetaeva scrive alla Achmatova. La crede morta, suicida dopo la fucilazione del marito, “Cara Anna Andreevna! Tutti questi ultimi giorni sono corse cupe notizie sul Vostro conto, di ora in ora più insistenti e inconfutabili”. Pare strano scrivere a una persona che si pensa morta. Per Marina no. Marina continua a scrivere a Rilke anche se Rilke è inconfutabilmente morto. Per Marina, la Sfinge, non esistono distanze tra vita e morte, tra vivi e morti, lei traffica nei cunicoli dell’aldilà.

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“Anna Achmatova era stata da tempo assunta nel cielo delle divinità cvetaeviane. La prima lirica a lei dedicata risale al 1915… Alla Achmatova, che non aveva mai conosciuto personalmente, Marina scrisse più di una lettera, spesso le inviò i suoi libri e piccoli doni. Ma all’esaltazione della consorella moscovita la poetessa pietroburghese rispondeva con ben più controllato riserbo e alle sue lettere con brevi e cortesi bigliettini” (Serena Vitale). Non è mai un problema di risposta, per un poeta, ma di risonanza. Che gesto di grandezza inviare una lettera a chi non risponderà mai, per il gusto di onorare la grandezza di un altro.

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I veri rapporti, come sempre, si consumano in assenza. Dalla straordinaria testimonianza di Lidija Cukovskaja (Incontri con Anna Achmatova 1938-1941, Adelphi, 1990) sappiamo questo. Lidija, devota all’Achmatova, nel 1941 si sposta a Cistopol. Conosce Marina Cvetaeva nei suoi ultimi, drammatici momenti. Nell’ottobre del 1941 mentre, in segreto, è ucciso Sergej Efron, Anna raggiunge Lidija. “Anna Andreevna mi fa una serie di domande sulla Cvetaeva… Oggi sono andata con Anna Andreevna lungo il Kama, le ho fatto attraversare su un’asse la stessa pozzanghera-oceano attraverso cui quasi due mesi prima avevo fatto passare Marina Ivanovna. È molto strano’, le ho detto, ‘lo stesso fiume, la stessa giornata fredda, e anche la pozzanghera e l’asse sono le stesse. Due mesi fa, in questo stesso posto, ho guidato attraverso questa pozzanghera Marina Ivanovna. E lei continuava a chiedermi di voi. E ora non c’è più, e noi parliamo di lei. Nello stesso luogo!”. Nella sua infinita piccolezza, questo evento è un emblema. L’Achmatova e la Cvetaeva si sfiorano, a due mesi di distanza, nello stesso luogo: una è in cerca dell’altra. Solo ora che Marina è niente, per l’Achmatova diventa tutto.

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Due poetesse stringono un patto lungo il secolo, sopra un’asse distesa su una pozzanghera, come una palpebra di legno sull’occhio. Una delle due è morta – la morte rende eterno questo patto. Quella pozzanghera, nell’afrore russo, è certo, è la lingua di un dio. (d.b.)

 

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