20 Gennaio 2020

Quando Anna Achmatova ricoprì di rose Amedeo Modigliani

Forse le vite – quindi, a precipizio, le opere – vanno lette da un singolo frammento, da un episodio singolare, sezionato al microscopio, così farebbe Dante, per ricavare da quella briciola il tutto, nella luce.

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Il 1910 è l’anno capitale per Anna Achmatova. Intanto, muore Lev Tolstoj, in fuga, sotterrando per sempre l’epoca d’oro della letteratura russa, dando tratta ad altra vita. Nello stesso anno, la Achmatova si sposa con Nikolaj Gumilëv, poeta, volto volitivo, audace – sarà volontario, come soldato semplice, durante la Prima guerra; anticomunista, fu arrestato e fucilato nel 1921. Il viaggio di nozze si compie a Parigi, dura un mese, la vita di Anna si capovolge. “Tornai al nord nel giugno del 1910. Carskoe, dopo Parigi, mi sembrò del tutto morto. In questo non c’era nulla di sorprendente. Ma dove era sprofondata, in cinque anni, la mia vita al villaggio?”.

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Erede del grande condottiero Akhmat – “Anna discendeva dall’ultimo grande khan tataro e amava dire con civetteria che fra i suoi antenati vi era Geghis Khan”, così Sergio Romano – la Achmatova ha un viso che s’incide, una bellezza selvaggia, il carattere indocile. Sbalorditi dalla sua bellezza, in molti la ritraggono. A Parigi è Amedeo Modigliani a impazzire per lei. “Nel 1910 lo vidi pochissimo, solo alcune volte. Nondimeno egli mi scrisse durante tutto l’inverno… Come ora capisco, lo colpiva in me, più di ogni altra cosa, la capacità di indovinare i pensieri, di vedere i sogni altrui, e le altre piccolezze, alle quali sono abituati coloro che mi conoscono… Probabilmente io e lui non capivamo una cosa fondamentale: tutto quello che avveniva era per noi la preistoria della nostra vita: la sua molto breve, la mia molto lunga. Il respiro dell’arte non aveva ancora bruciato, trasformato queste due esistenze: e quella doveva essere l’ora lieve e luminosa che precede l’aurora”. Così la Achmatova, in una memoria del 1958, poi ripresa nel 1964. È una memoria rara perché la Achmatova, in un tempo in cui gli artisti scrivevano le loro alchemiche autobiografie – pensiamo a quelle, meravigliose, di Pasternak – è restia a narrarsi. Lascia che il tempo, corpo di tigre, scorra, faccia pasto, presto.

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In effetti, il 1910 è il bagliore dell’alba. Tornata in Russia, Anna segue il marito nella creazione della “Gilda dei poeti” e dell’acmeismo, a cui aderirà anche Osip Mandel’stam. Nel 1911 sono pubbliche le prime poesie della Achmatova, che confluiscono nel libro Sera, pubblicato nel 1912. “Sin dal suo primo apparire, la poesia dell’Achmatova fu popolarissima. Non c’era quasi salotto della buona borghesia russa dove i suoi volumetti non facessero bella mostra di sé. Uno dei più diffusi passatempi cultural-mondani dell’epoca era recitare qualche verso di quelle liriche e verificare se l’interlocutore, a propria volta, era in grado di proseguire” (Michele Colucci). Che bella l’epoca in cui è di moda mandare a memoria i versi dei poeti contemporanei. Così Angelo Maria Ripellino decritta la lirica della Achmatova: “Porta nella poesia russa una sintassi mormorata, un dimesso stile da camera che s’avvale d’un lessico semplice e giornaliero… Comprime e addensa lo spazio semantico, raccorcia le aeree prospettive dei simbolisti a dimensioni terrene… Questa parsimonia espressiva si riflette nella concisione delle immagini, composte con una grafia delicata che fa pensare ai segni della pittura giapponese”.

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Anna Achmatova secondo Amedeo Modigliani, nel 1911

L’incontro compiuto con Modigliani accade nel 1911. La Achmatova è a Parigi, Gumilëv è impegnato in una delle sue sortite avventurose, in Africa. “Era diverso, del tutto diverso da chiunque al mondo. Lo conobbi che era povero, tanto che non si sapeva come facesse a vivere; come artista non aveva riconoscimento alcuno”. Insieme, visitano il Louvre, sono attratti dalle mummie egizie, camminano per la città recitando Verlaine. Un giorno, Anna Achmatova gli porta delle rose. “Una volta non fummo chiari nel fissare un appuntamento e o, passando da lui, non lo trovai a casa. Decisi allora di aspettarlo. Tenevo tra le braccia un mazzo di rose rosse. Una finestra sopra le porte chiuse del laboratorio era aperta, e da lì iniziai a gettare rose nell’atelier. Poi, senza attendere il suo ritorno, me ne andai. Quando ci incontrammo, egli mi manifestò il suo stupore: come avevo potuto penetrare nella stanza chiusa, senza la chiave? Gli spiegai quello che avevo fatto. ‘Non è possibile: erano sparse per terra così bene!’”. Anna Achmatova che getta rose nello studio vuoto di Modigliani. Sembra un simbolo, ciò che definisce il perimetro di un destino.

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Modigliani è presente per sempre nella vita di Anna Achmatova, eppure, dopo quella breve, fulminea stagione i due non si vedranno mai più. Nel 1912 Anna “in attesa del figlio, compie con il marito un viaggio in Italia: Genova, Padova, Venezia, Bologna, Pisa, Firenze”. Il figlio Lev nasce in ottobre. Seguirà la guerra, la crisi matrimoniale, il divorzio da Gumilëv, nel 1918, la fama poetica, la Rivoluzione, l’idea, presto abolita, di lasciare la Russia. Poco dopo la morte di Modigliani, accaduta nel 1920, la Achmatova pubblica Piantaggine. Con la morte di Modì le ipotesi di fughe parigine terminano. Sera, tempestata da quegli squarci di incontri improvvisi, di amori abortiti, la raccolta temprata dall’atmosfera parigina:

Mi diverte quando sei ubriaco
e nelle tue storie non c’è senso.
Un autunno precoce ha sparpagliato
gialli stendardi sugli olmi.

Ci addentrammo in un falso paese,
ora ce ne pentiamo amaramente,
ma perché sorridiamo di un sorriso
strano e raggelato?

Al posto di una pacifica gioia
volevamo un dolore che mordesse…
no, non lascerò il mio compagno
dissoluto e tenero.

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Il 9 agosto del 1939 la Achmatova parla a Lidija Cukovskaja di Modigliani. “Era un ebreo italiano, con gli occhi dorati, molto povero. Capii subito che era destinato a cose grandi. Questo a Parigi. Poi, in Russia, chiedevo di lui a tutti quelli che arrivavano dall’estero: non ne avevano mai sentito neanche il nome. Ma poi si pubblicarono saggi e interi libri su di lui. E adesso tutti mi chiedono: ma veramente lo avete conosciuto?”.

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Resta il mistero sulla storia d’amore consumata – o allucinata nella rinuncia –, all’alba della vita artistica, tra Modigliani e Anna Achmatova. Era tarda primavera, si erano spese promesse, forse, come sempre tradite dall’ingordigia. “Tutto il divino scintillava in Modigliani solo attraverso la tenebra”, scrive la Achmatova, dando all’artista la grazia di un eroe cosmico dello Zohar, un capolettera della Qabbala. “Mi ha ritratto una ventina di volte”, ricorda Anna a Lidija. Un disegno ci è rimasto. Con unico tratto Modì dettaglia il profilo aristocratico di Anna, il viso intriso di rassegnata malinconia, perché questo è il destino dei divini. Pare di assistere a una poesia di Pasternak, “Quasi che con un ferro/ intinto nell’antimonio/ t’avessero tracciata/ a tratto sul mio cuore/… e io non so tracciare un segno/ di confine tra te e me”. Spesso, sappiamo, Modigliani ha ritratto Anna nuda, prima e dopo l’amore, chissà. Ma quei ritratti sono scomparsi, diluiti in un’era dispari. (d.b.)

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