29 Giugno 2020

La bellezza entra dalle finestre, se necessario. La grande musica in ospedale, nonostante il Covid. Dialogo con Andrea Padova

I Donatori di musica ritornano post covid nell’ospedale Infermi di Rimini grazie alla instancabile pianista Francesca Cesaretti. Da anni Francesca dirige per generosità concerti dedicati all’ospedale della sua città, grazie all’associazione Donatori di musica che coinvolge moltissime strutture ospedaliere in Italia. Grazie a lei, al suo collega Davide Tura, all’organizzazione di AIL Rimini (Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma), alla disponibilità dello staff medico e amministrativo dell’ospedale di Rimini e dei pianoforti di Yamaha Music Europe – Branch Italy e Iiriti strumenti musicali, la musica torna a rompere tutti i confini, apre tutte le finestre. Infatti lunedì 22 giugno se per l’emergenza Covid il pianoforte non può entrare dentro le mura dell’ospedale, può far passare però la musica dalla finestra. Affacciati alla finestra” è l’altro lato di Donatori di musica. Neanche in condizioni così particolari si può rinunciare a ciò che le note di Chopin possono dare ai pazienti e agli operatori sanitari. Allora Francesca Cesaretti e gli organizzatori di Ail Rimini, presieduta dal Dottore Edoardo Pinto, hanno pensato bene di lasciare che la musica risuoni nel cortile interno dell’ospedale di Rimini, tra la scala C e D. Un’impresa non da poco: non solo portare un pianoforte a coda su un giardino interno, ma chiudere un parcheggio ospedaliero e inserire anche un sistema di amplificazione delicato che non creasse distorsione o eccessivo rimbombo per chi deve suonare, ma arrivasse perfino alle stanze del sesto piano. Ed ecco che per questa prima riapertura – per questo primo dono – ha suonato il pianista di fama internazionale Andrea Padova. Suonare in un cortile interno di un ospedale, dove le persone entrano ed escono, passano ovunque, davanti al pianoforte, strisciando le scarpe, parlando a voce alta al telefono, non è facile né scontato. Anche se sei un impeccabile professionista. Non si suona in condizioni ottimali, si cerca un isolamento che per la natura di quel luogo è impossibile. Andrea Padova è riuscito anche in questo, è riuscito a entrare dentro al pianoforte, a farsi strumento egli stesso, portando il suono in verticale lungo tutte le pareti dell’ospedale. La musica non lascia indifferenti, entra dove le pare, non chiede permesso. La musica si dona senza riserve, ti fa aprire le finestre anche se stai lavorando, anche se fai fatica ad alzarti dal letto. Dopo le prime note suonate da Andrea Padova si sono aperte moltissime finestre, a grappolo, pazienti e operatori si sono affacciati, alcuni sono usciti ad ascoltare sostando nelle scale esterne. Nei terrazzi diversi pazienti si sono riuniti insieme per darsi una tregua. “Donatori di musica” crea questo: uno spazio bianco, un momento di stasi, una tregua al dolore. Ecco perché è così importante continuare a sostenere questa iniziativa. La bellezza va imposta, non si ferma alla porta, entra anche dalla finestra se necessario. E Andrea Padova arriva così, quasi senza provare, impone la bellezza delle note di Chopin al pianoforte, a tutti quelli che apriranno le finestre.

L’arte è una forma di amore privato, è un amore esclusivo. Esclude necessariamente chi non ama quella stessa forma d’amore e vuole solo essere amato. Richiede sacrificio. Cosa significa per te rendere inclusiva questa forma di amore che hai per il pianoforte? Come affronti la condivisione della musica quando suoni?

Condivido assolutamente la premessa alla domanda. È vero il sacrificio, così come sono veri l’esclusività e l’aspetto privato dell’arte. Per quanto riguarda la domanda diretta ti risponderò in maniera un po’ paradossale: non credo che la condivisione e l’inclusività di questo amore debbano basarsi su una volontà precisa di dare agli altri qualcosa che piaccia. Credo, al contrario, che la vera inclusività sia rendere partecipi gli altri di quello che succede al musicista che fa questo enorme lavoro, questo significativo atto d’amore nei confronti della musica che apprende, per poi suonarla. Quanto più è sincero questo amore, quanto più scevro dalla volontà di piacere, tanto più può toccare delle corde profonde nell’ascoltatore che riconosce, in base a misteri che noi sappiamo pervadere tutti gli aspetti dell’arte, specialmente delle arti performative, la verità estetica di quella sinergia che si viene a proporre tra quello che è scritto e quello che ne deriva una volta che questo viene eseguito.

Si dice che i musicisti amino il loro strumento come si ama una donna. Ma il pianoforte non te lo puoi portare dietro ovunque. Cosa significa amare uno strumento che impone una distanza fisica, che non puoi abbracciare?

Che il rapporto sia amoroso e abbia a volte una connotazione propriamente erotica è ovvio, altrimenti non si potrebbe suonare bene. Il numero di ore, che, si dice, siano necessarie per imparare timidamente a fare qualsiasi cosa, è superiore alle ventimila, da quel numero di ore in poi si comincia a esplorare quello che si è in grado di fare. Le ventimila ore per un pianista arrivano molto presto! La fisicità è garantita dal contatto delle dita, che sembra una parte minima ma è una parte molto parlante e anche molto “ricevente”, come sappiamo, anche dalla letteratura sull’amore. Le dita possono trasmettere e ricevere quasi tutto. Quindi se non c’è l’abbraccio per differenza di mole, eccesso di peso e grandezza, c’è l’abbraccio che passa per le dita.

C’è un momento in cui nella vita di un artista si presenta una scelta. L’arte o “l’altra vita”. Qual è stato il tuo punto di scelta, quando hai scelto un mestiere estremo – che richiede sacrificio in tutto o quasi – come il tuo?

Il momento della scelta è un’espressione molto felice ma andrebbe riportata al plurale perché in realtà esistono i momenti delle scelte. Sono tantissimi. È già un momento quando si capisce che andando a scuola la giornata è troppo breve per disporre di uno studio serio dello strumento. E se si può, se si vive isolati, magari a undici anni si decide di alzarsi presto il mattino, alle sei, per passare almeno un’ora allo strumento prima che inizi la giornata degli altri. Però di questi piccoli sacrifici i numeri sono infiniti per quanto riguarda un pianista. Certo, c’è un rimpianto per la vita così detta “vera”, che a volte per chi suona o compone è in lontananza e chiama in maniera prepotente. Basti immaginare, uno fra tanti, il rapporto con i figli. Bisogna veramente sapere amare e saper spiegare il proprio amore, per spiegare ogni sottrazione alla vita vera. A quelli che sono accanto a te. Che devono a loro volta avere un amore infinito per accompagnare e accettare chi fa questo lavoro in questa vita “da un’altra parte”.

Donatori di musica, ne fai parte da diversi anni. Come hai cominciato?

Ho iniziato a suonare per “Donatori di musica” su invito di Maurizio Cantore che è uno dei fondatori, oltre che un chirurgo straordinario e persona meravigliosa. L’idea mi ha subito colpito e devo dire non è mai stato facile passare dalla volontà di suonare a trovarsi insieme nei reparti con le persone in cura, sofferenti, persone che erano già accompagnate in un percorso di allontanamento dalla vita come nelle situazioni degli hospice. Più che la prima volta quello che mi colpisce è l’unicità di ogni singola volta. Del resto è legata all’unicità dell’essere umano, ogni volta è un incontro, un volto e una voce, alcune parole che riassumono tutto quello che si è capito o provato a donare in questi incontri. Credo di non dimenticare nessuno di questi volti. Con vera gratitudine. Vado a donare ma ricevo un dono, un insegnamento, un esempio.

Clery Celeste

*In copertina: Andrea Padova in un ritratto fotografico di Silvia Perucchetti. 

Gruppo MAGOG