20 Marzo 2018

“Amore è morte. E l’artista è un Minotauro”. Dialogo dalle vertigini con Francesco Bianconi

Secondo me è pure antipatico.

Antipatico sarai tu.

Questo è poco ma certo. Ma… sai… questa voce cosmica, che rumina astratti… la musica che sta tra l’ipnotico e il grammofono…

Loro sono formidabili, sono…

(In coro) “Il gruppo più colto del panorama musicale italiano attuale”.

Secondo me, però, lui, Bianconi, è antipatico, ha quella graziosa austerità…

(L’altro attacca a cantare) “Per colpa di Veronica, è tempo di Veronica, giorni di Veronica, solo per Veronica”. Ottavo disco dei Baustelle. La conosci?

L’ho sentita.

Veronica N. 2, s’intitola.

Come Chanel N. 5.

Idiota.

Ottavo disco, dicevi?

Già. L’amore e la violenza Vol. 2.

Ottavo… Per l’alfabeto ebraico il numero otto è la lettera het, che “somiglia a un ‘portone’, la cui simbologia richiama il potere di penetrare nei livelli d’energia e di uscirne e il potere di penetrare i segreti dell’anima e ritornare alla quotidianità… quale numero otto richiama alla mente gli otto vertici del cubo, la tridimensionalità” (Gabriele Mandel). Chissà se lo sa, Bianconi…

Chiediglielo, dice lei, lasciando la pizza al suo destino, masticando “La pelle di Veronica, gli occhi di Veronica, l’ombra di Veronica…”, manco fosse una preghiera tibetana.

Baustelle. Mi faccio passare nel retro dell’iride il nome Baustelle. Ottavo disco. Esce venerdì prossimo. Ricordo I mistici dell’Occidente. Il quinto album. 2010. Se non altro, perché a casa ho I mistici dell’Occidente antologia vertiginosa – ce l’ho nell’edizione Rizzoli e Adelphi – curata da Elémire Zolla (insieme a Cristina Campo), di esseri umani che con il linguaggio hanno tentato, da Dante a Giovanni della Croce, di sfondare il palato di Dio. Ci penso poco. Intervisto Francesco Bianconi (gli altri Baustelle sono Rachele Bastrenghi e Claudio Brasini, in copertina nella fotografia di Gianluca Moro). Così vedo se è antipatico.

BaustelleParto con la domanda scema. Copertina sofisticata.

“Lo scatto è di Gianluca Moro, è uno scatto analogo a L’amore e la violenza. Solo che le due ragazze, ora, sembrano in un certo senso pacificate. Ma anche quando l’amore appare pacificato, sappiamo che c’è sempre un po’ di violenza”.

Domanda più ‘alta’. In questi giorni sono scoccati i quarant’anni dal rapimento di Aldo Moro, su cui Leonardo Sciascia ha scritto un fragoroso pamphlet. Che rapporto c’è tra arte e politica?

“Questo è un disco di canzoni d’amore. Beh, secondo me parlare d’amore è un gesto politico, ogni canzone d’amore, nel suo senso più alto, è una canzone politica…”.

…in effetti le dittature – penso all’Unione sovietica nei confronti di Boris Pasternak, al governo di Enver Hoxha in Albania nei riguardi di Visar Zhiti, oppure a quanto è accaduto a Oscar Hahn sotto Pinochet – censurano le poesie d’amore, come se l’amore fosse una forza devastante, incontrollabile.

“…dal punto di vista filosofico, è evidente. L’amore prevede la negazione del sé, dell’io, per l’adesione totale a una qualche forma di ‘altro’. Da questo punto di vista, questo è un atto fortemente ‘politico’”.

Il sottotitolo del disco è “dodici nuovi pezzi facili”. Cosa significa, al di là dei riferimenti colti più o meno diretti (i “pezzi facili” di Bach o “Cinque pezzi facili”, il film, per nulla facile, con Jack Nicholson)?

“C’è qualcosa di ironico, che si riferisce alla materia trattata. Sono canzoni che parlano solo di relazioni sentimentali. Per intenderci, non ci sono pezzi come Il Vangelo di Giovanni o La vita. L’argomento è più ‘facile’, si parla, in fondo, anche se a nostro modo, di ‘canzonette’, delle canzoni d’amore che hanno fatto la musica cosiddetta ‘leggera’. Diciamo che è una sfida. Poi, non parleremo più d’amore, lo giuro”.

Per deformazione di cuore, la canzone che mi piace di più è “Il minotauro di Borges”, tratta da un racconto del grande argentino, “La casa di Asterione”. Che, hai detto, “è il racconto più bello mai scritto”. Spiegati.

“Borges è un gigante. Uno scrittore unico, come lui non c’è nessuno. ‘Pippo’ Rinaldi, cioè Kaballà, mi ha fatto rileggere quel racconto sul Minotauro, radunato ne L’Aleph. Mi è piaciuto aggiungere che il Minotauro si innamora ogni volta delle fanciulle che gli vengono offerte in sacrificio. Diciamo che la canzone va incasellata con la didascalia ‘amore impossibile’”.

Incipit de “La casa di Asterione”: “Mi accusano di superbia, di misantropia o di pazzia”. Poco più oltre il Minotauro dice, “Io sono l’unico”. Forse queste sono le caratteristiche dell’artista, forse l’artista è un Minotauro.

“In qualche modo è così, l’artista è un Minotauro. Il processo creativo ti rende un dio, ti dà l’illusione di sostituirti a dio. Sei superbo, dunque, e di conseguenza misantropo, perché ti poni su un piano più alto. Dal mio piccolo punto di vista, creare dona una grande soddisfazione, ma anche una grande sofferenza. Nel ruolo di ‘artista’ mi sento a disagio, avverto una specie di pena per chi si esercita in questa umana occupazione, destinato a vivere tra gioia e disagio. Ecco, alla fine, la pazzia”.

Cosa leggi, leggi la narrativa contemporanea?

“Sono un lettore e ascoltatore curioso. Continuo a leggere poesia, un genere che oggi sembra fuori moda. Ho letto un libro molto bello di recente, Cielo notturno con fori d’uscita, del vietnamita Ocean Vuong. Mi sembra mescolare sprazzi orientali con la Beat Generation”.

Entriamo senza scafandro nella tua testa. Come scrive Bianconi? Prima una immagine, prima la musica…

“La musica ha la preminenza. Lavoro ai testi sulle melodie. Il che rende la scrittura una complicazione, un gioco simile alla settimana enigmistica, devo ‘riempire gli spazi’. Ma io amo le gabbie formali. Le gabbie servono per essere più liberi”.

La canzone che avresti voluto scrivere…

“Ce ne sono migliaia. Dal punto di vista delle parole e della musica, La canzone di Marinella di Fabrizio De André: quando con quella voce, sulla melodia, cambia tonalità, attaccando, ‘Dicono poi che mentre ritornavi/ nel fiume chissà come scivolavi…’. Ecco, senti?, ecco la prova che nelle canzoni si può essere poetici: conta tutto, il testo, la voce, l’arrangiamento”.

“Dietro ogni fiorellino si nasconde un tumore”: cito da “Jassie James e Billy the Kid”. Che tipo di canone è?

“Parla di una relazione travagliata e parla della fine di questa relazione. Lo inserisco nella categoria, ‘mettere una pietra tombale sopra un amore in maniera pacifica’. A volte succede. I due eroi, dopo un rapporto turbolento, riposano in pace sotto stelle silenziose. È una canzone di serenità”.

La canzone più stramba è “Tazebao”. Cito due versi. “Dio brucia nella sera”. “La merda è una certezza”.

“La seconda è una citazione di Ennio Flaiano, un genio. Tazebao è la canzone d’amore meno d’amore del disco. Una raccolta di folli aforismi sul presente, piuttosto”.

Cito ancora. Dalla canzone più filosofica, forse centrale, “L’amore è negativo”. A un certo punto dici. “Non sacrificare Isacco a Dio, Salva tuo figlio muori al posto suo”. Insomma, che cos’è l’amore?

“La canzone è tratta da un libro meraviglioso, Eros in agonia, del filosofo sudcoreano Byung-Chul Han. Il problema, penso, è che nell’amore ‘ci scappa sempre il morto’. Amore significa negazione del sé in funzione della totale adesione all’altro. L’altro può essere una fidanzata, un figlio, Dio. Comunque, l’amore comincia con un sacrificio, il morto c’è subito, per così dire. Uccidi l’io per poterti dare completamente, senza chiedere nulla in cambio”.

Esito. Francesco Bianconi, censito da una timidezza sana, non è antipatico. Sta in questo sortilegio strano, tra Eraclito e Nick Cave.

Davide Brullo

Gruppo MAGOG