13 Novembre 2019

“Che cos’è il tuo amore?”. Da uno scambio tra Elisabetta Fadini e Franz Krauspenhaar, un dialogo lirico a più voci sull’indicibile

Questo è un dialogo sull’amore, non vuole essere un assoluto, non ha l’intento di colmarne il concetto, ma si tratta di un racconto lirico a più voci sui suggestivi rimandi che la parola amore comunica ed evoca. Un dialogo tra Elisabetta Fadini, Franz Krauspenhaar, Paola Veneto, Davide Brullo, Roberto Franco, Matteo Samuele Chamey.

Franz: Che cos’è per te l’amore?

Elisabetta: È l’eterna lotta tra Dio e Satana e del loro amore profondo, incolmabile, al punto di non poter esistere l’uno senza l’altro, come l’avevano capito Blake, Milton, Eliot e Yeats e molti altri.

E cos’è per te l’amore Franz?

Franz: Per me è una cosa di cui tutti parlano, ma che pochi professano, è come una religione con le chiese semivuote. Tutti lo cercano spasmodicamente, anche le persone peggiori, ma è qualcosa di scivoloso, a volte un serpente a sonagli; è come un animale mitologico che si trasforma, prima ti blandisce, poi ti rapisce, e nel momento più imprevisto ti azzanna alla gola. Il male è il bene che si è potuto realizzare. Elisabetta, prima mi hai risposto sinteticamente, mettendo insieme l’Ira di Dio e Satana come se fossero entrambi quasi elementi naturali, nello stesso paniere. Andresti più a fondo nel ragionamento? Quale è il rapporto che intercorre tra queste due forze, chiamiamole soprannaturali, che sono secondo te l’amore?

Elisabetta: L’amore è la resa, una sorta di sconfitta edificante, l’impersonificazione della realtà attraverso la confusione, è l’ascesa appunto, come la voleva vedere Lucifero, era il suo sogno. Di questo grande amore tra Satana e Dio, cercò di raccontare Milton nel suo Paradiso Perduto, che con attenta pazienza ci ha voluto raccontare dell’equilibrio tra le forze del male e del bene, un equilibrio giustificato dal desiderio infinito di un possesso, che non era altro che amore infinito, e questo amore non è mai stato perdonato, come se l’amore fosse condanna. Tu l’hai detto molte volte, che le guerre molto spesso sono necessarie e inevitabili, e certi amore anche, alcuni incontri non si possono evitare. L’amore è traguardo e sofferenza e in tutto c’è amore, anche nella lotta, la passione stessa ce lo racconta. Vuoi conquistare chi ami, chi stimi, chi assomiglia al tutto, una conquista di verità, della tua verità. È la missione più importante della vita, come il soldato si fa fucilare con onore. Marriage of Heaven and Hell il matrimonio del cielo e dell’inferno di Blake del 1790 lo spiega, è nell’unione e nell’equilibrio che avviene il miracolo dell’amore.

Franz: L’amore si trasmetta tramite una comunicazione non verbale, perché è soprattutto alchimia e suggestione; esso si trasmette anche attraverso le storie degli amanti, come conquista e imperfezione.

Elisabetta: Questo mi fa pensare alla telepatia che non è altro che amore, è una fusione eccelsa, senza spazi, dove il tempo però è fondamentale, perché la trasmigrazione di pensiero vince.  “Un eroe ama il mondo finché il mondo non lo distrugge, il poeta finché non gli ha distrutto la fede”, “Il poeta trova e crea la propria maschera nella delusione, l’eroe nella sconfitta”, e Yeats ce lo racconta in Magia cercando di trovare una spiegazione attraverso l’antropologia culturale, la storia degli accadimenti, come mossa estatica di fusione tra richiamo e riconoscibilità. Tutto si cerca, tutto si trova, è così che l’amore si esprime attraverso l’appartenenza, è un richiamo, la magica storia delle coincidenze. È un esodo, una conquista del territorio tanto agognato, amando impari l’attesa, crei dei canali apparentemente inesistenti, ed è quel paranormale di cui tanta della letteratura inglese ha parlato, di quel desiderio che comunica e vince.

C’è una spiegazione per ogni cosa inspiegabile. Sta tutto nel lirismo della scommessa, nella dimensione incerta di una ricerca eterna, come l’esodo e la resurrezione.

È un patto d’estasi.

“Il primo bacio d’amore rende divini” questo era il titolo che Ugo Foscolo diede ad un suo racconto, come se la divinità avesse il potere dell’assoluto quindi aspirazione all’eterno. È l’infinito che aspiriamo, è l’immortalità, la parentesi immutata, nell’amore vediamo noi stessi proiettati nei secoli dei secoli e il frutto del nostro amore ci rende infiniti, ci vuole coraggio per amare e ancor di più per ricordare di aver amato. Siamo se abbiamo amato.

Le Dee Madri ce l’hanno insegnato, appaganti e generose nella loro protezione amorosa e sospesa, le ancelle dell’umanità, loro amavano chi le amava, indistintamente. Chi non ha bisogno di amore? Quale essere non vuole essere amato?

La Yourcenar nel suo “Il tempo grande scultore”, tocca una massima che mi fece capire il senso dell’esistenza attraverso la sua più grande rappresentazione, appunto l’amore, con l’immaginaria voce di Michelangelo Buonarroti racconta “Amiamo perché non siamo capaci di sopportare di essere soli, ed è per la stessa ragione che abbiamo paura della morte, quando mi è capitato di dire chiaro l’amore che un essere mi ispirava ho visto intorno a me strizzare d’occhi, e scrollate di capo, come se quelli che mi ascoltavano si ritenessero miei complici, o si permettessero di essermi giudici, quelli che non vi accusano vi cercavano delle scusanti, questo è ancora più triste, per esempio, ho amato una donna, quando dico di non aver amato che una sola donna, non parlo delle altre, quelle che passano, che non sono donne, ma soltanto la donna e la carne, non ho amato che una sola donna, che non desideravo, e non so quando ci penso, se perché non era abbastanza bella o lo era troppo, ma la gente non capisce che la bellezza è un ostacolo, e appaga già il desiderio, gli stessi che amiamo non lo capiscono e non vogliono capirlo, si stupiscono, soffrono, si rassegnano e poi muoiono, allora cominciamo a temere che la nostra rinuncia abbia peccato contro noi stessi e il nostro desiderio, senza sbocco, divenuto irreale e ossessivo come un fantasma assume l’aspetto mostruoso di tutto ciò che non è stato. Di tutti i rimorsi dell’uomo il più crudele forse è quello dell’incompiuto, amare qualcuno non è solo tenere alla sua vita ma anche stupirsi che non viva più, come se morire non fosse naturale e tuttavia l’essere è un miracolo più sorprendente del non essere. A ben riflettere proprio davanti a quelli che vivono bisognerebbe scoprirsi e inginocchiarsi come davanti a un altare”.

Franz: L’amore è un lungo fiume spesso non tranquillo che supera il sentimento. Il sentimento vive del proprio specchiarsi, nella consapevolezza della propria esistenza e quindi, in un certo senso, cresce affievolendosi, diventa abitudine e scopo intrinseco. L’amore invece si sostanzia di un passaggio successivo, diventa “seconda pelle”, ricongiungimento con l’altro che abbiamo ritrovato nell’enormità dell’universo, alla fine diventa tacito accordo, o patto. Il matrimonio è una sovrastruttura, e pertiene a un’unione che si scandisce nella vita quotidiana spesso priva di ascese. L’amore universale è una convenzione del sentire, una forzatura che è dunque presa in giro di se stessi e di quello che è al centro dell’uomo. L’amore genitoriale o filiale non è per forza il più puro, perché le famiglie spesso sono lager senza cella, all’aria aperta e malsana. L’amore compiuto può partire da qualunque punto, anche da punti ambigui e insani, ma, essendo esso stesso una cura efficace al male di vivere, secondo me è la vera consolazione a una sofferenza indomabile. Il vero amore è una grazia sempre sul punto di spezzarsi, una forza motrice in opposizione al male. L’amore nasce da un dolore universale, questo sì dentro ciascuno di noi, vita e controvita.

Roberto: L’amore è una distorsione del reale in quella immane indispensabile distorsione che noi chiamiamo Coscienza, caduto o rivelatosi in qualche punto della nostra evoluzione come un istinto di morte contenuto nell’istinto del dono di sé. Il darsi senza cautele di Sacher-Masoch è la nostalgia dello sfregio di Cristo. L’amore, nella sua violenza intrinseca e nella sua spiritualità necessaria, ci riporta a un noi che è esistito, esiste in qualche meandro dello spazio o del tempo. Può essere paragonato alle esperienze mistiche, che infatti spesso cercano una sorta di amore senza oggetto. È un improvviso senso di assoluzione che ci fa vedere come un baratro l’oceano delle nostre manchevolezze e ci fa odiare il tempo che gli rubiamo. È quindi è un eterno assoluto che invece di compiersi, in qualche maniera, muore di sé.

Paola: Chiedersi cos’è l’amore è un esame di coscienza. Il più spietato e necessario esame di coscienza quotidiano che conosca. Pensare lucidamente, ogni giorno, a cosa siamo stati e a cosa siamo oggi, per non parlare dei dubbi, delle speranze e delle paure su chi saremo domani, è esercizio necessario per tenere saldo il timone della nostra esistenza. Nessun sentimento come l’amore cambia a seconda della nostra età e soprattutto a seconda delle ferite e degli strappi che ci hanno reso quello che siamo. La natura prevede che il primo amore che sperimentiamo sia quello materno, quando siamo indifesi e fragilissimi e quando da quell’amore dipende la nostra stessa vita. Ad alcuni è negato anche questo sentimento/cura fondamentale e bisognerebbe pensarci qualche volta, davanti a esseri umani che di umano hanno davvero poco. Chi li ha amati? E in che modo? Quando avevano paura del buio, c’era qualcuno a stringer loro la mano? Da certe mancanze nascono mostri terribili, che accompagnano sino ad una età adulta in cui amare sarà spesso un massacro per sé e per gli altri, a causa di una incapacità congenita rispetto al sentimento. Quando ero ragazza nutrivo il mio ideale d’amore con letture “assolute”, che ritenevo definitive rispetto al mio acerbo desiderio di conoscenza multidimensionale. I romanzi francesi dell’Ottocento regalavano ritratti di uomini quadrati tutti da spettinare, da sognare mordendosi il labbro sotto le coperte. In seguito le disperate letture esistenzialiste hanno spalancato il cammino del tormento e dell’estasi lirica, puntualmente delusi dal confronto con la ben più banale realtà. Sul cuore della mia vita adulta oggi l’amore ha messo radici semplici ma essenziali. Certe volte è faticoso amare così, tutti protesi verso l’altro, ma la maternità ha spesso questa inoppugnabile conseguenza.

Sicuramente pronuncio più spesso la frase “hai mangiato?” di “mi ami davvero?”. Sto attenta a non farmi del male, sto attenta a tutto perché chi mi ama ha bisogno di me. Ben si riassume questo sentire in dei versi di Brecht che amo moltissimo.

“Quello che amo mi ha detto
che ha bisogno di me
Per questo
ho cura di me stessa
guardo dove cammino e
temo che ogni goccia di pioggia
mi possa uccidere”

Io amo, mentre servo la minestra calda a tutti e non mi siedo. Io amo, perché non ho dimenticato le letture appassionate e i sogni di mirabolanti avventure, che ancora mi tolgono il sonno. Perché io sono ancora quella ragazza, però oggi sono capace di guardare indietro per vedere se mentre corro, come è mia natura, qualcuno si è perduto.

Matteo Samuele: Frattali. Gli elementi essenziali della natura sovrastano da sempre quell’innata volontà umana di comprendere e trasalire ad ogni sussulto della scoperta, come se il nuovo fosse l’inedito. Non abbiamo inventato nulla, l’amore è. Il fanciullino interiore deve arrendersi, la chimica cerebrale scuote le membrane, azzera gli spazi del pensiero e lascia che le cellule danzino libere immerse in una piscina di frattali. Electricity direbbe qualcuno, e così avviene. La materia è una composizione algebrica dell’Io Universo, le sue distrazioni sono solo anfratti egocentrici che mutano al calar del sole. Annullarsi, questo è amore puro. Un frattale: si ripete nella sua forma allo stesso modo su scale diverse, e dunque ingrandendo una qualunque sua parte si ottiene una figura simile all’originale (cit. wikipedia). Qual è la figura simile all’originale se non il sé medesimo specchiatosi nell’altro? Queste alchimie si generano e autoproducono in ambienti liberi dalla forma-pensiero, sono il concepimento dell’unione di sinapsi tra loro affini per forma, sostanza, chimica in natura. Vivono dentro di noi perché ne siamo forma mutata e nocciolo succoso. Sospendersi ed agire in catarsi porta all’amore. Le affinità ancestrali di tatto, udito, olfatto e gusto fanno il resto perché ci dotano di quegli strumenti necessari per rendere possibile l’interconnessione tra i nodi della vita. L’amore è un fuoco di scintille.

Davide: Capire per chi morire è il carisma dell’amore, il crisma carnale – ma poi, cosa si capisce se non la migrazione dei denti in leggi? La carne è il principio del conoscere: bisognerebbe fare l’amore di continuo, con chi si è in affetto – perché è nella nudità e nella rabbia che conosci, senza altra promessa che l’atto – fino a spossessarsi di ogni percezione, dimentichi delle mani e di chi ha toccato chi, degli occhi, a verticale su una palafitta di fraintendimenti. Ma ciò che ami ammette solo la rinuncia. Rinuncia al corpo, al cibo, al vero. L’eremita che si trincera nella cella; il padre che si spoglia per vestire l’irriconoscenza del figlio; lei che scommette sulle accuse dei giorni pur di custodire alla carezza chi la tradirà; il prigioniero che sacrifica la grazia per uno sconosciuto. Nell’amare c’è la disparità che domanda: quanto ti ami, amando? Il moto dell’uomo è l’eccitazione di sconfiggersi, imparare la figura a quattro zampe, la scostante impazienza delle nuvole, e a piovere, tutto. Così, di fronte a un buio di silenzio, alle ginocchia di una straniera, a una icona dispari, non chiedi che abbatterti, uscire da te, ammazzare il sé, e che se evitano di raccoglierti, per lo meno ti dicano con il rapace di un nome nuovo. Di sé, si ama la possibilità che qualcuno muti il tuo nome; dell’altro questa violenza che ti ricapitola, facendoti capitolare.

*In copertina: Nastassja Kinski, 14 giugno 1981, Los Angeles; photo Richard Avedon

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