09 Ottobre 2019

“Il primo passo è stato la Luna, Marte sarà il secondo, ma dobbiamo arrivare in un altro sistema solare”: dialogo con Alfred Worden, il pilota dell’Apollo 15

C’è uno spicchio di luna, stasera, che squarcia l’oscurità del cielo sgombro da nubi. Chissà cosa si prova a guardarla da vicino, ad atterrarci sopra. Quando vedo, per la prima volta, Alfred Worden, in una sala ovale immersa dentro un edificio solitario sulla collina, a pochi passi da un cimitero puntellato dal rosso dei lumini (siamo ad Induno Olona, nel varesotto, la sala è un centro polivalente per anziani, Asfarm, l’evento organizzato da Asimof, l’Associazione Italiana Modelli Fedeli dell’esplorazione spaziale, l’intervista curata da Paolo Attivissimo, un giornalista e traduttore esperto in materia scientifica), dice che sta digerendo il gelato (“uno dei gelati più buoni della sua vita”).

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Quelli dell’Apollo 15: David Scott, Alfred Worden, James Irwin. Era il 1971

Il colonnello Alfred Worden, pilota del modulo di comando dell’Apollo 15 e il primo uomo ad effettuare un’attività extraveicolare nello spazio profondo non è certo un ragazzino, ha 87 anni, pur svelando l’ombra di un’antica bellezza, il suo volto è segnato dal tempo che è passato da quella storica missione lunare del 1971. Sono passati solo 48 anni. Cerco di afferrare lo sguardo di Alfred, nell’illusione di poter cogliere quello stesso segreto che i suoi occhi azzurri hanno rapito così tanto tempo fa. Vedere il volto della Luna. Alfred, che dagli amici si fa chiamare Al, indossa il giubbotto leggero, tipo bomber, celeste, con lo stemma della Nasa e quello della sua missione, Apollo 15, sotto una polo bianca con i primi bottoni slacciati e, quando sta in piedi, si mette le mani in tasca. Il naso dritto, lievemente aquilino, le labbra serrate, anche quando si mette in posa per le foto, non sorride molto e non abbandona mai quell’atteggiamento di severo rigore che sembra accompagnarlo, mentre intorno a lui si scatenano i fotografi e una piccola folla in delirio; del resto è una star.

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È solo uno dei diciotto uomini al mondo che ha messo piede sul nostro satellite. O meglio: il piede in realtà lui non ce l’ha mai messo, nei giorni storici dal 26 luglio al 7 agosto 1971. Mentre David Scott e James B. Irwin andavano in giro sulla Luna, sgommando su un’agile macchina elettrica (che è ancora lassù), lui era a bordo, finalmente solo, occupato a fare le sue rilevazioni e i suoi studi. Nonostante la sua apparente austerità, quando parla nel suo americano, non annoia mai e le immagini fervide che evoca si imprimono con forza nella mente, intervallate da battute ironiche, salaci, talvolta dissacranti. Vuole parlare del suo background, della vita dura in una fattoria del Michigan. “Sono cresciuto in una fattoria, allevavamo mucche, polli, anatre, avevo quattro cavalli. Fino a diciotto anni gestivo io la fattoria, fino al college. La scuola che ho frequentato era una scuola di campagna con una classe sola, formata da trenta studenti. Credo che questa sia una delle cose più belle che mi siano capitate nella vita, perché avevo la sensazione, mentre ero nelle classi inferiori di imparare di più conoscendo il programma delle altre classi, più di quanto avrei potuto imparare, in una classe di coetanei. E mi sono divertito. Ero lo studente che arrivava prima a scuola, accendevo la stufa. Poi arrivavo a casa e mungevo le mucche. A dodici anni ho cominciato a guidare i trattori e ho preso la patente di guida a quattordici anni. Ogni domenica facevamo il gelato, in casa. Crescendo in una fattoria, ho imparato presto il senso di responsabilità che è rimasto con me per tutta la vita. Ho imparato la disciplina – se non facevo io una cosa non veniva fatta – e in virtù di questa esperienza, ho deciso che non volevo trascorrere il resto della mia vita in fattoria, ma volevo allontanarmi il più possibile. Quando ero in volo non ho pensato molto a quella fattoria”.

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Mentre scorrono le immagini sulle pareti della sala, nel silenzio attentissimo del pubblico, il colonnello Worden non lascia mai trapelare l’emozione, nemmeno quando ricorda la tragedia dell’Apollo 1 e la morte di comandante Virgil Grissom, il pilota maggiore Edward White e il pilota Roger Chaffee, i volti sorridenti nei corpi immersi nelle ingombranti e immacolate tute spaziali. I loro sguardi felici e orgogliosamente americani, a un passo dalla morte. Worden ricorda la tragedia con distacco ma anche con la consapevolezza di una catena di errori fatali. Da non ripetere. “Vorrei dire che il problema, secondo me, è stato di natura umana. Stavano facendo un controllo della pressurizzazione del modulo di comando, per la pressione da mantenere nello spazio. Stupidamente hanno usato l’ossigeno puro, un materiale estremamente pericoloso. A peggiorare la situazione: hanno usato la gommapiuma per sigillare i comandi, una vera bomba. Avremmo potuto salvarli se ci fosse stato il portellone giusto. Il comandante aveva progettato un portellone che si fissava, si sigillava dall’interno. Avevamo, invece, bisogno di un portello che si aprisse all’esterno. E questo ha portato alla morte dei tre uomini. E alla motivazione per progettare tutto daccapo. Volevamo assicurarci che non fossero morti invano”.

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Alfred Worden oggi, a 87 anni. Fotografia di Linda Terziroli

Il suo discorso abbraccia tutti i programmi spaziali sin dagli anni ’50, spiega l’acquisto di 154 mila acri di terreno in Florida per lanciare i razzi e che oggi è diventato una vera riserva naturale con alligatori, lunghi addirittura otto metri e ventotto coppie di aquile. È inevitabile parlare della Russia e della corsa allo spazio che ha contraddistinto quegli anni. Oltre ai programmi attuali, giapponesi e americani, e a Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, che secondo lui vincerà la prossima corsa allo spazio. Chissà se sarà così. Alfred Worden non ci aveva scommesso su Neil Armostrong. Dalle sue parole, sembra che non erano in molti, alla Nasa, a credere che sarebbe stato lui il primo uomo sulla Luna. Infatti: “Quelli che stavano a Houston avevano scommesso tutti i loro soldi su Apollo 12. Io stesso avevo scommesso altre cose, non i soldi, su Pete Conrad. Io facevo il tifo per lui perché ero la sua riserva. L’Apollo 11 non era un volo privo di difetti, sono state date indicazioni pazzesche nella discesa sulla Luna dai computer, ma gli uomini sono stati bravissimi. Sulla Luna sono rimasti solo due ore e mezza. Era il primo passo, dovuto alla risolutezza di una persona geniale come Neil Armstrong, l’uomo che non era stato selezionato per quella missione. Credo che il mondo si rendesse conto che era la persona perfetta in quel momento”.

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Con la missione successiva, Apollo 12, l’atterraggio era avvenuto in un punto specifico della Luna, a un centinaio di metri di distanza dal precedente. La precisione è andata via via migliorando fino all’Apollo 15, il primo volo scientifico sulla Luna, con attrezzature mai portate prima sul satellite. Mentre il colonnello mostra la celeberrima immagine della bandiera americana sulla Luna si ferma un momento a pungolare la tesi complottista secondo cui nessun uomo è mai arrivato sulla Luna. Perché sventola la bandiera in assenza di vento? “Semplice, l’abbiamo fatta apposta così”. Mentre gli astronauti saltellavano sulla superficie lunare – la gravità è 1/6 rispetto al nostro pianeta – Alfred era a bordo, in una solitudine spaziale. Per sei giorni, indica il modulo lunare dell’Apollo 15, quella è stata casa mia, dice. Cinque finestrini, due portelli e tre sedili. Quanto è grande? Quanto è piccolo? Settantacinque metri cubi per due persone, “l’abitacolo di un Maggiolino”. “Se nello spazio ti senti solo? Dopo quattro giorni e mezzo, ero ben contento di vederli allontanarsi”. Nel volo di ritorno a casa, Worden ha fatto la prima passeggiata spaziale per recuperare i contenitori delle pellicole con migliaia di fotografie.

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Il futuro della Nasa non sembra roseo agli occhi del colonnello. Dopo il programma Constellation annullato per varie ragioni, la Nasa ha ideato Orion per sondare la profondità dello spazio e andare su Marte, ma “sono frustato, perché Orion può portare quattro persone per sole due settimane e un viaggio per Marte dura un anno e mezzo. Inoltre non sarebbe in grado di rientrare sulla Terra dopo Marte. Quando si conquisterà Marte? Tra trenta/quaranta anni. Marte è solo uno dei grandi passi. Io credo che andare sulla Luna sia stato il primo passo. Marte sarà il secondo. Al ventesimo passo, saremo capaci di andare su un altro sistema solare. Quando avremo il prossimo livello di tecnologia. Prima o poi tutta l’energia del Sole si esaurirà ed è meglio se saremo pronti per andare da un’altra parte. L’obiettivo primario di ogni essere umano sulla Terra è sopravvivere. Abbiamo uno scenario di tantissimi anni, tra migliaia di anni potremo farlo”.

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Al momento delle domande, un ragazzino tra il pubblico in prima fila gli domanda: cosa faceva nei tempi morti del viaggio, come passatempo? “Ero sempre pronto ad andare a dormire, avevamo a disposizione solo quattro ore di sonno ogni giorno”. Della Luna Alfred Worden ricorda la polvere, un odore di polvere molto pungente, una polvere che, per quanto uno possa pulirsi, non ti abbandona mai. Un romantico signore gli domanda, infine, cosa pensa quando guarda la Luna. “Ci sono momenti in cui vedo, con una vividezza, quello che ho vissuto. È come quando si vede un film, dopo il film non ricordi che i momenti salienti. A volte, la maggior parte delle volte, non ci penso, penso alla vita di tutti i giorni. Però, se sono di un certo stato d’animo, dico: mica male!”. L’incontro è finito e, per prima cosa, il colonnello che ha passeggiato nello spazio ed esplorato la Luna, apre la sua valigetta quadrata di acciaio e mette via, alla chetichella, il suo pezzetto di Luna. È solo una roccia, penso, ma quando serra la valigia e la impugna con le sue grandi e ferme mani, capisco che il suo tesoro è quello lì. Tutto ciò che di più caro possiede, su questo nostro vecchio pianeta, e ciò per cui è davvero valsa la pena di vivere.

Linda Terziroli

Gruppo MAGOG