10 Maggio 2019

“Putin? Un personaggio tragico, un uomo solo”: dialogo con Aleksej Varlamov, scrittore e rettore del “Maksim Gor’kij” Literary Institute di Mosca

“Certo, vado a fare il bagno tutti i giorni, anche oggi”. Lo guardo, incredulo. Poche ore dopo, la pioggia, come singhiozzi d’angelo, sfalda la Riviera. Aleksej Varlamov è riconosciuto tra i grandi scrittori russi viventi: ha insegnato letteratura russa alla University of Iowa, in uno studio pubblicato dalla University of Toronto Press, quindici anni fa, Russian Literature 1995-2002, l’autore, N.N. Shneidman, lo definiva “tra i più prolifici scrittori della nuova generazione, quello che più e meglio di altri si riferisce alla tradizione del realismo russo”. I suoi libri sono tradotti in mezzo mondo, quest’anno Eurilink, la casa editrice legata alla Link Campus in Roma, ha pubblicato la sua biografia romanzata di Michail Bulgakov. “Il governo sovietico lo ha perseguitato, ma la sua vita non è priva di momenti felici e inattesi, come la messa in scena, nel 1926, de I giorni dei Turbin, che turbò i suoi detrattori”, mi dice, sorridendo, occhi azzurri, fronte ampia, barba letteraria, un talento assai russo nell’eludere e nell’alludere. Dalla finestra, eccolo, il mare. Incontro Varlamov a Misano Adriatico, sulla costa riminese, nelle aule della Fusp (Fondazione Unicampus San Pellegrino), luogo di riferimento per la traduzione e l’interpretariato. La Fusp ha creato un legame di scambio con il “Maksim Gor’kij” Literary Institute di Mosca, fondato, appunto, da Gor’kij, nel 1933, da cui sono passati Platonov, Mandel’stam, Pasternak. A dirigere il “Gor’kij”, oggi, c’è Varlamov, che passa anche per essere uno dei consiglieri culturali del presidente Vladimir Putin; in ogni caso è una delle figure di spicco nella letteratura russa, di oggi. “Mi chieda tutto di Russia, io le rispondo”, fa lui.

Lei ha riportato in auge la nobiltà del genere biografico. Ha scritto di Andrej Platonov e di Bulgakov, di Rasputin e di Aleksandr Grin. Ha scritto anche di Aleksej Tolstoj, il fatidico “Conte Rosso”: pioniere della fantascienza, torna in Russia dopo la Rivoluzione, perde il titolo nobiliare, è decorato con il Premio Stalin, litiga con il grande poeta Osip Mandel’stam, giurandogli la morte… è l’emblema dello scrittore ‘di regime’, non crede?

Di tutti i personaggi di cui ho scritto, devo dire che Aleksej Tolstoj, all’inizio, non mi piaceva per nulla. Mi pareva un uomo sgradevole ed ero molto lontano da lui riguardo alle convinzioni politiche. Scrivendo di lui, però, ho cambiato opinione: Aleksej mi ha vinto, in un certo senso. Ho analizzato in un capitolo il conflitto tra lui e Mandel’stam. Posso dire che il loro non era un dissidio politico né estetico e che la storia che sia stato lui a combinare l’arresto e la morte di Mandel’stam è frutto della fantasia di Anna Achmatova.

La cultura russa recente è penetrata a fondo in quella italiana – penso alla pubblicazione in Italia, in prima mondiale, del “Dottor Zivago”, e alle poesie dedicate a Venezia e a Roma da Iosif Brodskij, ad esempio. Quella italiana in che misura è conosciuta dai russi?

Umberto Eco e Alessandro Baricco sono molto conosciuti in Russia. Altri autori recenti non ne conosco. Più di tutto, però, è il cinema italiano a essere amato. Il cinema di Federico Fellini e di Pier Paolo Pasolini, il Neorealismo, sono dei cult.

Si può parlare a suo avviso, in questi anni, di ‘rinascimento’ culturale in Russia?

Affermarlo significherebbe ammettere che in precedenza abbiamo vissuto uno stato di declino, e non posso dire così. In Russia la vita culturale è molto interessante, è accesa, nei teatri, nelle mostre…

…e in campo letterario?

Non c’è alcuna censura, se è a questo che allude. L’ambito politico non tocca quello culturale, non c’è alcuna censura di tipo politico. Eventualmente, esiste una forma di censura ‘economica’. Intendo dire che lo Stato finanzia soltanto alcuni progetti, quelli che ha intenzione di sostenere.

Sì, ma lo scrittore che ruolo ha oggi in Russia?

Agli scrittori è permesso agire come vogliono. Possono scrivere quello che vogliono e possono pubblicare i loro libri, influenzando l’opinione civica. Se uno scrittore non è d’accordo con il governo attuale, però, non può andare nelle reti della televisione pubblica. Può scrivere quello che vuole, può pubblicare, ma non gli viene dato uno spazio più ampio, ecco.

Non è il migliore dei mondi possibili…

Non è il migliore, è vero; ma non è neanche il peggiore, se leggiamo la nostra storia.

Vorrei capire se lo scrittore è libero di agire come vuole perché in fondo a nessuno importa quello che ha da dire, oppure se questa libertà è reale.

Diciamo che la letteratura, oggi, non è pericolosa per lo Stato. Devo ammettere, insomma, che oggi non c’è un intellettuale scrittore del tipo di un Solzenicyn.

Vladimir Putin: a quale personaggio della letteratura russa lo avvicinerebbe?

Difficile da dire, Putin è un uomo complesso, molto complesso. Direi, probabilmente, Pečorin, il personaggio centrale di Un eroe del nostro tempo di Lermontov. Putin non è un personaggio ‘alla Puskin’: è una personalità sfaccettata, poliedrica. Mi pare una figura tragica, ecco.

Alla Fusp di Misano Adriatico, dialogando con Varlamov. L’intervista è stata possibile grazie all’impegno di Vladislava e di Mattia, giovani traduttori

Come mai ‘tragica’?

Beh, ha scelto di prendersi una grande responsabilità su diverse cose. Credo che sia molto difficile la sua vita, credo che sia un uomo molto solo. Anche la vita di Pečorin, in effetti, è difficile.

La sua analisi è profonda. Per noi, in Italia, la Russia, tra Cina e Stati Uniti, appare come uno Stato forte, quasi imperiale: voi come vi sentite?

Ci troviamo in una posizione di isolamento politico e penso che questo sia male per noi e per il resto del mondo. Questa situazione dipende da un nostro errore e da un errore dei paesi che ci hanno isolato. Ci sono molti problemi globali e non c’è alcun senso nella situazione di conflitto tra Russia ed Europa.

Chi è lo scrittore che considera maestro?

Jurij Kazakov [classico contemporaneo in Russia, tradotto da Einaudi nel 1960 e ripescato da Il Melangolo nel 1991, è ora latitante dalla scena editoriale italiana, ndr]. Lui è il mio maestro. Puskin, invece, inarrivabile come scrittore, è un maestro di umanità, rappresenta l’intima identità della Russia.

Ora, cosa sta scrivendo?

Un romanzo. Tratta del conflitto tra Ucraina e Russia, un tema difficile, ma per me molto importante.

Tragga dalla storia della letteratura il libro che avrebbe voluto scrivere.

Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez. Mi sorprende come la storia di un piccolo villaggio colombiano inventato sia diventata globale e interessante per il resto del mondo.

Mi dica qual è il carattere fondamentale dello scrittore.

Sensibilità di cuore e di testa. Lo scrittore deve considerare sempre tutta la gamma di impressioni e possibilità che ha in sé la vita.

Il libro italiano che la ha formata.

Sarò banale: la Commedia. Ero un giovane studente al primo anno di università e c’era quel libro. Molti lo trovavano difficile. Io pensai fosse affascinante.

Ultima. Da rettore di un istituto universitario, consigli un libro a un giovane lettore con l’aspirazione di diventare scrittore, che sia russo o italiano.

I fratelli Karamazov, Dostoevskij. Un libro davvero universale.

Davide Brullo

Gruppo MAGOG