21 Marzo 2018

Agostino Di Bartolomei, il campione umile e gentile con il simbolo dell’infinito sulle spalle. Inadatto a questo tempo di barbarie

Il 30 maggio 1994, un comunicato dell’Ansa gela milioni di romanisti e appassionati di calcio: “Agostino Di Bartolomei, ex calciatore della Roma, si è ucciso stamattina sparandosi un colpo in testa sul terrazzo della sua villa di San Marco di Castellabbate”.

Era nato l’8 aprile 1955. Nei suoi anni migliori, quelli dell’affermazione nella Roma, dal 1976 al 1984, non gli avevo mai visto fare un gesto impulsivo, e mi stupiva il senso del rispetto che aveva quando discuteva con gli arbitri mettendosi le mani dietro la schiena, mentre altri suoi colleghi puntavano minacciosi gli indici e urlavano imprecazioni. La sua tragedia è stata, come molte tragedie, un’ironia del destino: il più misurato degli uomini che arriva a impugnare una Smith & Wesson calibro 38 e si spara al petto.

Di Bartolomei era un giocatore eclettico, capace di interpretare vari ruoli, ma si espresse al meglio come centrocampista arretrato, quando Nils Liedholm lo piazzò davanti alla difesa, in un ruolo simile a quello che alcuni anni dopo avrebbe reso celebre Andrea Pirlo. Aveva la straordinaria capacità di fare arrivare il pallone ai compagni d’attacco con lanci lunghi e precisi. Da rigorista, calciava praticamente da fermo, riuscendo a sviluppare una grande potenza senza l’ausilio della rincorsa.

Se guardate i filmati delle sue partite, noterete che la serietà del suo sguardo si trasforma a volte in cupezza, e anche quando gioisce dopo una vittoria, c’è in lui qualcosa di oscuro, una meraviglia sgomenta, mai felice. Adattando liberamente un brano del Libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa, immagino Agostino che alza una Coppa e pensa: “La vittoria mi anima ma non mi migliora, perché uscirò dal campo come sono arrivato: più vecchio di ore, più allegro di una sensazione, più triste di un pensiero”.

Negli ultimi anni di carriera, sui campi di Serie C, Di Bartolomei conquistò una storica promozione con la Salernitana che mancava dal campionato cadetto da ventitré anni. Le interviste di quei giorni felici mettono in risalto la sua diversità nei confronti del divismo di molti suoi colleghi che si erano velocemente adattati a un ambiente calcistico sempre più esagitato e urlante. Non stupiamoci dunque se quell’uomo dal cuore sincero, vedendo svanire il desiderio di rientrare da protagonista in un mondo che lo aveva osannato e poi emarginato, non sia più riuscito a proteggere la propria vulnerabilità.

Avrebbe voluto incominciare una carriera da allenatore e non capiva l’ostinazione con la quale tanti vecchi amici, non solo calciatori, ma anche dirigenti e presidenti, gli voltavano le spalle.

Portava il numero 8, il simbolo dell’eterno ritorno all’infinito: dal nulla al tutto e poi di nuovo al nulla. Perciò quel numero è anche espressione delle pulsioni suicide di chi cade in un circolo vizioso di pensieri negativi che gli fanno desiderare di lasciare il mondo reale per andare in quello senza tempo dei sogni. Due mondi, come due sono i cerchi con cui i bambini disegnano l’8. Ma quando le esigenze del cuore si scontrano con la realtà esterna e si genera la necessità di scendere a compromessi, alcuni individui, i più sensibili, non ne sono capaci e finiscono stritolati tra sogno e realtà, incapaci di rendere reale il sogno o sopravvivere al suo dissolversi.

Di Bartolomei è stato una vittima di una spirale infinita di ideali e fantasie. Pochi anni dopo avere appeso le scarpe al chiodo, il suo animo sensibile fu dolorosamente colpito dalla condizione di abbrutimento in cui era scivolato il calcio. Profondamente deluso, andò incontro all’inevitabile esperienza della morte.

Sugli scaffali delle librerie rimane un Manuale del Calcio che è il suo testamento spirituale e professionale. Egli stesso lo spiega con parole che rendono appieno il suo spirito di campione umile, gentile e per questo inadatto a un tempo di barbarie.

Scrive: “Questo mio testo, che non vuole insegnare nulla, cercherà di far conoscere soprattutto ai ragazzi e a tutti gli appassionati di calcio quelle poche e utili nozioni che possono aiutare a trovare quella semplicità di gioco che secondo me è la chiave di questo sport meraviglioso”.

Francesco Consiglio

Gruppo MAGOG