13 Marzo 2019

“A me interessa il Kurtz di Conrad, capace di vivere nel delirio di onnipotenza per poi dire, sul letto di morte, ‘l’orrore, l’orrore’”. Giuseppe Culicchia dialoga con Matteo Fais intorno al suo ultimo, tenebroso romanzo

Provate a immaginare di scoprire, oggi, nel nuovo millennio, che vostro padre è stato un uomo con simpatie fascio-naziste. Per voi è sempre stato solo un bravo padre che ha cercato, pur con tutti i suoi limiti, di trasmettervi amore, valori, una cultura. E, magari, un uomo di cultura lo è stato per davvero, per esempio uno dei massimi direttori d’orchestra a livello europeo. Come reagireste? Ne vorreste unicamente cancellare la memoria, oppure cerchereste di fare i conti con i suoi demoni? Questo è su per giù ciò che capita a Giulio Rallo, figlio di Federico, quando si reca alle esequie del genitore, che da tempo, dopo aver abbandonato la famiglia e a seguito di una brusca conclusione della sua carriera artistica, si è trasferito in Germania.

In estrema sintesi, quanto raccontato è la trama dell’ultimo romanzo di uno dei più grandi narratori italiani, Giuseppe Culicchia, appena uscito per i tipi di Mondadori e intitolato Il cuore e la tenebra. Richiamando palesemente il classico di Joseph Conrad, Cuore di tenebra, l’autore dell’intramontabile Tutti giù per terra, decide di fare i conti con l’ambiguità che anima tutti noi.

Se la narrazione diffusa tende a fare un netto distinguo tra chi sta dalla parte sbagliata della Storia, solitamente identificato con la feccia dell’umanità, e le forze del Bene che a un certo punto avrebbero ripreso in mano le sorti del mondo, dopo la deviazione delle dittature novecentesche, Culicchia rifiuta questi facili manicheismi. Piuttosto, come ogni grande scrittore, egli rischia l’azzardo, si getta disperatamente nel precipizio sperando di salvarsi, e percorre la pericolosa linea di confine che separa il giusto dallo sbagliato. In una parola affronta la tenebra, ascolta fino alla fine le parole di chi ha coscientemente rifiutato il sentiero tracciato dai vincitori, tocca il cuore algido ma ancor pulsante del ’900. In spregio all’ottusità di chi sa a prescindere cosa accogliere e cosa respingere da sé, si pone al cospetto della domanda più terribile: è mai possibile che il male abbia presa lì dove di solito alberga la nobiltà d’animo e il senso della bellezza? La risposta che si dà è la meno rassicurante: certe convivenze apparentemente inconciliabili sono assolutamente possibili.

Partiamo dal titolo, Il cuore e la tenebra. Il riferimento al romanzo di Conrad sembra palese. Del resto il libro è disseminato di rimandi, in puro stile postmoderno, ad altri testi, perfino allo stesso che tu hai scritto e che infatti viene citato. Ci spiegheresti questo tuo muoverti al limite dell’ipertesto?

È collegato al contenuto del libro, a un idem sentire che intercorre tra alcuni suoi passaggi e i testi menzionati. Il romanzo inizia con, in esergo, la citazione di un dialogo che si svolge al principio di Apocalypse Now, film che, come sappiamo, deve molto a Cuore di tenebra di Conrad. Parlo del punto in cui si dice che Kurtz ha raggiunto il suo punto di rottura. Anche il padre di Giulio, nel mio testo, ha ormai toccato il medesimo stadio. Chiaramente, cambia la tenebra: in Conrad è quella del colonialismo, di un’Africa dell’800 stuprata, devastata e depredata dal Belgio di Re Leopoldo; nel caso del mio personaggio rimanda invece all’Europa, al ’900 e all’ultima guerra mondiale. Da un punto di vista professionale, questi ha raggiunto il suo punto di rottura con il fallito tentativo di far eseguire nuovamente dai Berliner la Nona Sinfonia nell’interpretazione che ne dette Furtwängler nel ’42. La sua ostinazione lo porta unicamente a perdere la direzione dell’orchestra e a venire poco per volta emarginato. C’è poi il fallimento personale, quello che in realtà lo tocca più profondamente, come chiarisce in una delle lettere destinate ai figli. Quello è il suo punto di rottura, la sua tenebra. Volendo spiegare questo suo sprofondare in tale oscurità, si potrebbe fare un paragone con Midnight in Paris di Woody Allen e il suo protagonista che ha interiorizzato gli anni di Fitzgerald, Hemingway, l’età del jazz insomma, fino a ritrovarsi catapultato nella Parigi dell’epoca, negli anni Venti, in un periodo di grande rinascita dopo gli errori della Prima guerra mondiale. Federico Rallo, il padre di Giulio, invece sceglie un periodo storico per niente leggero, sceglie le trincee, la guerra, il nazismo. Anche tutte le sue riflessioni sui figli di Göring e Himmler che hanno perdonato i loro padri, che li hanno amati e hanno continuato a farlo anche dopo la guerra, è un modo per chiedere ai suoi figli di essere assolto a sua volta, malgrado anche lui abbia sbagliato e fatto loro del male. Ma se sono stati perdonati quei padri, forse la stessa accondiscendenza può essere riservata anche a lui.

Molti narratori, anche giovani, sono propensi a tornare al passato, a volerlo riscrivere, spesso assumendo una prospettiva distorta che li porta a valutare con parametri attuali fatti risalenti a periodi inassimilabili. La differenza è che, al netto delle strategie narrative adottate, il tuo atteggiamento non mi sembra altrettanto radicale. Tu non sei manicheo, non tracci una linea netta di demarcazione tra bene e male, non ti limiti a sostenere che da una parte stanno i rozzi e incolti, alieni a qualunque possibilità di grandezza morale ed estetica. Ma, soprattutto, fai i conti con la tenebra che può abitare in ognuno di noi, anche in chi apparentemente non ha il profilo umano e intellettuale adatto per essere facilmente demonizzato.

A me interessa la linea d’ombra e non giudicare i miei personaggi. Del resto, questo sarebbe un errore da parte di un narratore. Egli deve piuttosto calarsi nei soggetti di cui tratta e far sì che questi si comportino e parlino nel modo che maggiormente gli si attaglia. Il personaggio, seppur di fantasia, deve parlare come farebbe se fosse una persona reale. E se un autore non giudica, allora può forse guadagnare la possibilità di ragionare al di là dei manicheismi, riuscendo a cogliere le sfumature. Il padre di Giulio ha una fascinazione nei confronti di Furtwängler assoluta. È il suo modello, perché è riuscito a dirigere quella sinfonia come nessun altro mai prima e dopo di lui. Agli occhi del musicista italiano, tale fascinazione giustifica qualsiasi cosa, anche la sua adesione al nazionalsocialismo. Federico non lo giudica per questo, tanto che a un certo punto viene sedotto a sua volta da quelle idee. Furtwängler, in verità, è bene precisarlo, era più che altro un individuo tanto talentuoso quanto ambizioso e avrebbe potuto funzionare sotto qualsiasi regime.

Il padre del tuo protagonista ha simpatie per una certa estetica del nazionalsocialismo, oltre che per diverse visioni della sua politica sociale, ma è anche un genitore amorevole e un uomo di cultura; la madre, che tanto rivendica la sua libertà, non è meglio di lui. Sei cosciente di aver scritto un libro equivocabile, che potrebbe attirare le ire di antifascisti e femministe?

Come si sa, io ho tradotto American Psycho di Bret Easton Ellis. Quel libro attirò molte critiche, per esempio da parte delle femministe, perché Patrick Bateman era profondamente misogino. Stuprava e seviziava donne ed era inoltre un ferocissimo razzista nei confronti della gente di colore. Aveva, insomma, tutto quello che ci vuole per essere considerati politicamente scorretti e infatti Ellis ricevette diverse minacce di morte. A me piace fare come lui e mettermi dal punto di vista dei miei personaggi – direi, addirittura, che non potrei fare altrimenti. Sarebbe disonesto se facessi dire e fare loro quel che rientra nei desideri della maggior parte dei lettori. Peraltro, proviamo adesso a pensare a un libro quale Le benevole di Littell e, in particolare, al suo protagonista. Questo partecipa all’eliminazione degli ebrei in Polonia e, nel corso della lettura, si scoprono inoltre varie e spaventose nefandezze compiute nella sua vita privata. Egli risulta essere, insomma, un’incarnazione del male assoluto. Ecco, io trovo che da parte dell’autore vi sia stata una certa tendenza al parossismo, tale per cui il suo personaggio diviene quasi caricaturale, grottesco, per quanto il testo sia documentato e storicamente attendibile. Mi interessa invece maggiormente una figura come il Kurtz di Conrad, capace di vivere nel delirio di onnipotenza, di circondare la sua abitazione con le teste tagliate dei selvaggi, per poi farsi uscire di bocca, quali ultime parole sul letto di morte, “l’orrore, l’orrore”. In ultimo, non mi resta se non di confidare nell’intelligenza del lettore.

Un altro degli aspetti che si evince dalla lettura è che tu con le teorie complottiste (dal Piano Kalergi a quelle sull’11 settembre 2001) ti ci sei confrontato, con onestà intellettuale, senza limitarti a irriderle per la gioia di un pubblico che rifiuta anche solo la possibilità di prenderle seriamente in considerazione.

Non avrei potuto fare diversamente, avendo scelto di far parlare qualcuno che nel piano Kalergi ci crede, come ritiene che l’11 settembre 2001 l’America abbia attaccato sé stessa. Come ben sappiamo, le teorie del complotto sono molto diffuse: tutti quanti più o meno siamo convinti di essere vittima di una qualche trama oscura, oggigiorno. Ciò si spiega, per esempio in Italia, alla luce dei tanti buchi neri presenti nella nostra storia recente. Il più clamoroso è quello di Moro, ma poi c’è Ustica, le varie stragi di Stato, etc. Le versioni ufficiali fanno per così dire acqua da più parti. In Scritti corsari di Pasolini è riportato quel famoso articolo, uscito per il “Corriere della sera” e intitolato Io so, in cui lui sostiene di conoscere chi siano i mandanti delle stragi, ma di non poterlo rivelare, non avendo le prove. Non dimentichiamo che Pasolini è stato l’unico intellettuale a essere ucciso nel dopoguerra. Non per fare il complottista, insomma, ma questo mi dà da pensare, no? Poi, non so se lui fosse realmente al corrente di nomi e cognomi, ma di certo si era fatto un’idea. Fa impressione rileggere quel pezzo, oggi, dopo quarant’anni. Certamente lo scrittore sapeva guardare nel profondo del nostro paese. Pensa a quando parla del coinvolgimento della DC – e questo lo dice apertamente. Auspica che un giorno siano quelli dell’Opposizione a rivelare qualcosa, perché comunque sono uomini di potere, anche se stanno dall’altra parte, e di sicuro possono saperne più di lui da semplice intellettuale. Purtroppo, noi abbiamo ancora molti omissis su diverse vicende risalenti agli anni ’70 e, malgrado i diversi governi che si sono succeduti, questi non sono mai stati rimossi. Ciò dovrebbe portare a riflettere.

Secondo te c’è ancora bisogno di parlare di fascismo, addirittura di scriverci bordate di tomi da mille pagine, facendo ricorso a categorie francamente desuete per raccontare il presente?

Premetto che, se ti stai riferendo a M. Il figlio del secolo di Scurati, io l’ho letto e l’ho trovato notevole. Al contempo, ritengo che i problemi e le urgenze che ci troviamo di fronte oggi siano un po’ lontane rispetto a quelle del ’900. Quel secolo è oramai alle spalle e davanti a noi abbiamo Greta Thunberg, ragazzina svedese che va a parlare di clima davanti ai potenti della Terra, dicendo che stanno distruggendo il pianeta, che non prendendo le decisioni che dovrebbero prendere stanno di fatto pregiudicando in maniera radicale e senza ritorno il futuro dei nostri figli. Questa mi sembra la sola vera urgenza, oggigiorno. All’inizio del libro il protagonista, che di professione fa il fotografo, dice di dover andare a fare un servizio sui ghiacciai che si stanno sciogliendo al Polo Sud. Il servizio è commissionato da una compagnia di viaggi. Ecco, noi stiamo giocando con questo: esistono davvero crociere per mostrare i ghiacciai in scioglimento, con americani, russi e cinesi che pagano per vedere tutto ciò. Quel passaggio a Nordovest attraverso cui Melville, nel suo Moby Dick, immaginava che le balene si spostassero da un punto all’altro dell’oceano, adesso diventerà realtà, per essere tramutata immediatamente in inedite forme di guadagno. Si apriranno nuove vie commerciali, si ricaveranno nuove fonti di energia. Io trovo sia questo il vero tema da approfondire. Allo stesso modo, penso che non dovremmo perdere di vista come il mondo del lavoro abbia subito un arretramento spaventoso per quanto riguarda i diritti. Quando ci si lamenta dell’avanzata delle forze populiste, si dovrebbe andare a ricercare quali siano le cause reali, le motivazioni. Per esempio, rifacendoci a quello che accade a Parigi in questi fine settimana, considerare che non sono tutti black block quelli che si vedono per le strade a protestare. Per la maggior parte si tratta di persone delle classi medie. Ciò dovrebbe far meditare su come le diseguaglianze siano aumentate in modo spropositato, tanto da far sì che delle persone, che mai si sarebbero sognate di scendere in piazza, lo stiano facendo. Fino alla caduta del muro di Berlino – dove infatti il romanzo è ambientato, per buona parte – c’erano ancora due mondi possibili. Caduto il muro, ne è rimasto uno solo. Quelli che un tempo erano i partiti di Sinistra, i quali avevano come loro compito la tutela dei diritti dei lavoratori e delle classi meno abbienti, sono totalmente scomparsi. Tony Blair ha inaugurato una stagione della Sinistra che l’ha portata ad abbracciare in maniera del tutto acritica le politiche neoliberiste. Ciò è successo anche in Italia, come ben sappiamo.

Il cuore e la tenebra è anche un romanzo sulla disintegrazione della famiglia: genitori separati, figli che risentono della mancanza di una struttura. Non ti sarebbe convenuto difendere il progressismo che si esalta per la dissoluzione di certi “retaggi medievali”, come li definirebbe qualcuno?

So già che quanto dirò susciterà non poche polemiche. Io personalmente ritengo che, al di là di tutti i discorsi pieni di buona volontà sulla famiglia allargata, sul fatto che la famiglia è un’istituzione in crisi e bla bla bla, alla fine, per un bambino, il fatto di svegliarsi e andare a dormire con entrambi i genitori, sapendo che c’è questa sicurezza nei primi anni di vita, sia una cosa importante. Nel momento in cui viene a mancare, noi ci adoperiamo per fare di tutto perché venga superata, sublimata. Ma pur mettendo in campo tante energie, è mia convinzione che ciò comunque lo addolori. Penso ci siano degli aspetti del vivere odierno con cui noi dobbiamo avere il coraggio di fare i conti, al di là delle convinzioni ideologiche, politiche o religiose. La distruzione della famiglia è uno dei dati di fatto di questa nostra epoca. Da bambino, alle elementari, nella mia classe non c’era nessuno con genitori separati. Oggi, le proporzioni si sono invertite. È un tema che non si può ignorare. Condiziona il nostro modo di stare al mondo. Poi ognuno fa le sue scelte, ovviamente, ed è libero di farle. Io mi sono posto dal punto di vista di un padre che a un certo punto si pente di come ha agito e non riesce a perdonarsi. Il nocciolo della questione, direi, è questo.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG